
Alla Camera agraria conclusasi la scorsa settimana è arrivata la comunicazione ufficiale Martin Rufer sarà il nuovo direttore dell’Unione Svizzera dei Contadini.
Markus Rediger e Jonas Ingold lo hanno intervistato sulle iniziative che andranno in votazione quest’anno, la nuova politica agricola e il comportamento dei consumatori.
Le iniziative sui pesticidi e sull’allevamento intensivo, la PA22+ e gli accordi di libero scambio. Signor Rufer, lei entra in carica in un periodo delicato. Se l’aspettava?
I temi sul tavolo al momento sono molto vari ed è senza dubbio stimolante iniziare il mandato da direttore in un periodo così. Conosco bene i diversi dossier e mi motiva assumere l’incarico in una fase come questa, in cui si tratta di prendere decisioni determinanti.
Le contadine e i contadini godono di una buona immagine. Dall’altro lato però sembra che il settore agricolo abbia paura dell’esito delle votazioni sulle iniziative sui pesticidi.
Non abbiamo paura, piuttosto rispetto. Si tratta di temi molto emozionali e al momento la copertura mediatica è critica. Per questo motivo dobbiamo prendere molto seriamente la questione. Sono convinto che con le argomentazioni giuste e una buona campagna avremo successo e, a dibattito concluso, ne usciremo più forti.
Quant’è importante il ruolo delle contadine e dei contadini nel dibattito pubblico?
La collaborazione delle famiglie contadine con l’USC è la base del nostro successo. Gli agricoltori sono i portavoce più credibili, tanto per le argomentazioni che portano quanto per il loro impegno quotidiano in fattoria. Per le prossime votazioni è fondamentale che ogni singola famiglia contadina porti il suo contributo per sensibilizzare tutti.
L’associazione Bio Suisse non ha ancora fornito nessuna indicazione di voto. I contadini Bio possono avere un ruolo decisivo?
L’iniziativa sull’acqua potabile tocca anche le aziende Bio. In particolare per quanto riguarda il foraggio, ma anche nell’ambito della protezione dei vegetali. È importante che Bio Suisse e le aziende Bio siano coscienti del fatto che l’iniziativa sull’acqua potabile non ha come scopo la promozione della produzione bio. Se accettata andrebbe a colpire tutti i tipi di produzione.
L’USC ha definito entrambe le iniziative “Iniziative per la promozione delle importazioni”
Uno studio di Agroscope sull’iniziativa sull’acqua potabile mostra che il grado di autoapprovvigionamento di foraggio si ridurrebbe del 20%, perché i raccolti sarebbero minori. Anche la produzione animale diminuirebbe. E di conseguenza tutto quello che verrebbe a mancare sarebbe importato, perché di certo le abitudini dei consumatori non cambierebbero. Entrambe le iniziative avrebbero come prima conseguenza quella di favorire le importazioni, anche da nazioni in cui gli standard di produzione sono molto bassi.
L’iniziativa “Per una Svizzera senza pesticidi sintetici” si concentra, in maniera coerente, anche sul blocco delle importazioni.
È vero, solo l’iniziativa sull’acqua potabile si occupa esclusivamente dell’agricoltura svizzera. Non riguarda né le importazioni né altri settori di attività. Non c’è stata nessuna valutazione nel lancio di questa iniziativa. La seconda invece, quella sui pesticidi, almeno da questo punto di vista è coerente. Avrebbe però come conseguenza immediata un aumento degli acquisti oltre frontiera, che sarebbe ulteriormente incoraggiato in caso di accettazione.
Ecco, a proposito del turismo degli acquisti. Che aspettative nutre l’USC nei confronti della grande distribuzione al dettaglio, in termini di impegno contro le iniziative?
Ci aspettiamo che almeno mostrino le conseguenze in caso di accettazione delle iniziative. Ci sono due fattori. Di sicuro ne risentirebbero in termini di vendita al dettaglio, ma anche in termini di impianti di lavorazione del prodotto. L’iniziativa “Per una Svizzera senza pesticidi sintetici”, ad esempio, avrebbe probabilmente conseguenze più drastiche negli ultimi segmenti della filiera, più che per l’agricoltura in sé. Per fare un esempio, tutto il cioccolato prodotto in Svizzera dovrebbe essere prodotto soltanto con materie prime Bio.
Un’iniziativa parlamentare della Commissione dell’economia del Consiglio degli Stati vuole ridurre al minimo l’uso di pesticidi con un percorso di riduzione per tappe. Qual è la posizione dell’USC al riguardo?
In linea di principio la sosteniamo. Il percorso di riduzione vuole tradurre in legge l’idea e l’approccio del Piano d’azione nazionale dei prodotti fitosanitari. Questo percorso lo renderà più vincolante e ne aumenterà quindi la credibilità. Abbiamo sempre sostenuto questo piano d’azione e abbiamo espresso un parere positivo sull’iniziativa parlamentare. Per noi, inoltre, è molto positivo che l’iniziativa parlamentare non si limiti solo all’agricoltura, ma comprenda anche altri settori di applicazione come l’uso privato, i comuni o l’industria edile.
L’impiego di prodotti fitosanitari si riduce sempre di più e ci sono sempre nuove misure. Succede a causa dellapressione dell’opinione pubblica?
L’impiego di prodotti fitosanitari chimici e di sintesi si è ridotta in maniera significativa e continua. E questo ben prima dell’arrivo delle due iniziative. Nella migliore delle ipotesi le due iniziative hanno accelerato i tempi perché venissero adottate altre misure.
Negli ultimi tempi si è letto molto soprattutto sul Clorotalonil. Il principio attivo è stato usato legalmente per molti anni e, solo di recente, in seguito a una nuova valutazione si è sollevato il polverone. Non è facile per gli agricoltori che sono finiti subito sotto attacco.
Dobbiamo ribadirlo, per quanto riguarda il Clorotalonil, l’agricoltura non ha nessuna colpa. Le aziende agricole hanno semplicemente utilizzato in modo del tutto legale una sostanza consentita. Per questo motivo, le colpe non possono di certo ricadere sulle spalle degli agricoltori.
Quando ci sono incidenti di questo genere, l’agricoltura si ritrova subito con le spalle al muro. Qual è la strategia dell’USC?
Mostriamo di prendere molto seriamente i temi delle due iniziative e che l’agricoltura sta già adottando numerose misure. I cambiamenti in agricoltura sono rapidi e si sta andando nella giusta direzione. Però ci teniamo anche a dire forte e chiaro che l’agricoltura non è responsabile di ogni cosa.
La campagna di voto non è di certo il momento ideale per condurre una discussione basata sui fatti.
È necessario in vista della campagna di voto, condividere un minimo di conoscenze di base per poter così mostrare le varie connessioni. Solo così la popolazione potrà valutare in maniera corretta le conseguenze. Negli ultimi anni abbiamo fatto molto per la nostra immagine, ma non abbiamo spiegato abbastanza quello che facciamo. In futuro dovremo farlo, anche dopo le votazioni.
Le esigenze della società diventano sempre più elevate. Però la percentuale di acquisti Bio è ancora molto ridotta e in alcuni settori c’è addirittura una sovraproduzione. Che cosa si può fare per ridurre questa discrepanza?
È questa discrepanza che preoccupa di più noi e le famiglie contadine. Da una parte abbiamo le richieste della politica e della società per una maggiore attenzione all’ecologia e un maggior rispetto del benessere animale, ma dall’altra parte c’è la realtà del mercato che sembra basarsi su principi del tutto diversi. I consumatori e le consumatrici possono decidere molto quando si trovano davanti agli scaffali dei negozi. L’agricoltura ha sempre dimostrato di adeguarsi alle nuove tendenze del mercato e l’offerta in realtà è già presente. Ogni singolo acquisto determina l’aspetto dell’agricoltura.
La frustrazione è però enorme quando si produce Bio e poi bisogna venderlo come convenzionale perché c’è un eccesso dell’offerta.
È proprio così. Le famiglie contadine si adattano, prendono sul serio i timori della società, investono in soldi e tempo e poi non hanno alcun guadagno sul mercato. È frustrante.
Alcune aziende agricole molto innovative trovano nicchie di mercato. Altre continuano a produrre secondo i soliti canoni. L’USC non dovrebbe adottare un approccio più progressivo e, ad esempio, indicare come dovrebbe essere la produzione agricola nel 2030?
Noi dobbiamo produrre quello che vuole il mercato. Non possiamo spostare l’intero settore in mercati di nicchia, con prezzi troppo cari o produrre di più rispetto alla domanda. 4 franchi su 5 incassati dai contadini derivano dalla vendita dei loro prodotti. Senz’altro ci sono dei mercati di nicchia che offrono delle opportunità, come, ad esempio, canali di vendita con marchi consolidati che possiamo rifornire. Però vogliamo anche continuare a rifornire i canali di smercio standard, quelli legati alla trasformazione o alla ristorazione. Vogliamo e dobbiamo continuare a farlo.
L’impressione è che l’atteggiamento dell’USC sia piuttosto prudente. Si limita a guardare quanto decide l’Ufficio federale dell’agricoltura (UFAG) e poi cerca di salvare il salvabile.
Non è così, è un’impressione errata. Noi vogliamo condizioni quadro stabili. Ogni riforma agricola implica un grande lavoro di aggiustamento, così, ogni volta, si utilizzano risorse che le aziende agricole farebbero meglio a investire in uno sviluppo innovativo.
Con la politica agricola 22+ ci saranno nuove esigenze e l’onere amministrativo non diminuirà
Il progetto di legge porterà a un notevole aumento della burocrazia. Aumenterà il numero di programmi e alla fine della giornata ci sarà più lavoro d’ufficio. Il problema principale è che la complessità della politica agricola non fa che aumentare ad ogni riforma. La promessa di ridurre gli oneri amministrativi purtroppo non è stata affatto mantenuta.
Quali sono gli altri problemi della politica agricola, secondo lei?
Uno dei problemi è che stiamo facendo una politica esclusivamente agricola. Dovremmo andare molto di più nella direzione di una politica alimentare. Non si tratta di far funzionare solo il meccanismo della politica agricola, dovremmo avere una visione di insieme di tutta la filiera. Così sarebbe possibile avere una politica logica e coerente, senza cambiare ogni volta qualcosa qua e là. E di certo la PA22+ non va in questa direzione.
Oltre alla protezione delle colture, anche il cambiamento climatico è una questione fondamentale per l’agricoltura. L’ingegneria genetica potrebbe aiutare a combattere la siccità e conservare le risorse?
Lo studio di metodi di coltura e la ricerca sono fattori chiave per affrontare questioni come il cambiamento climatico e la protezione delle colture.
Dobbiamo usare i fondi disponibili e le tecnologie accettate dal mercato. Ora però si tratta anche di aumentare gli sforzi e abbiamo assoluto bisogno di dare nuovo slancio alla ricerca sui sistemi di coltivazione.
Non si potrebbe ridiscutere la moratoria sugli OGM?
Sul mercato, al momento, non ci sono prodotti OGM che offrano un reale valore aggiunto. L’attenzione si concentra soprattutto sulla resistenza agli erbicidi, una cosa di cui non abbiamo certo bisogno. Al momento, non esiste una coltivazione OGM che abbia come scopo quello di creare colture che necessitino di meno risorse e meno prodotti fitosanitari. Se e quando si creeranno colture OGM, che abbiano davvero un valore aggiunto, allora, forse, si potrebbe entrare nel merito. Fino a quel momento personalmente sono per un’estensione della moratoria sugli OGM. E, in ogni caso, anche con la moratoria in vigore, ricerche mirate come quelle descritte sono comunque consentite.
Lei siede tra le fila del PLR nel Gran Consiglio del Canton Soletta. Riesce a far valere gli argomenti dei contadini con il suo partito, notoriamente favorevole al libero scambio?
Ci riesco. Nel mio partito ci sono anche nuclei che sostengono con tutti i mezzi le questioni agricole. Il mio partito non va contro l’agricoltura, deve esserci però cooperazione con il resto dell’economia. Negli accordi di libero scambio vanno salvaguardati gli interessi di tutti i settori e gli accordi stipulati finora hanno dimostrato che è possibile.
Dopo il Gran Consiglio ci sarà il Consiglio nazionale?
Per ora la domanda non si pone. Le elezioni federali si sono appena tenute. La questione di una mia eventuale candidatura andrà chiarita prima delle prossime.
Alle ultime elezioni il Parlamento è diventato molto più verde, anche per quanto riguarda i rappresentanti agricoli. Che cosa ne pensa in un’ottica di collaborazione futura?
La nostra posizione è sempre la medesima: cercare di costruire nuove alleanze senza paura di cercare il confronto con nessuno. Continuerà ad essere così anche in futuro. Per avere successo, una buona regola è quella di non incaponirsi su una determinata alleanza, ma collaborare in base al problema che si pone.
All’interno della stessa USC ci sono organizzazioni molto diverse tra loro. L’associazione può rappresentare tutti quanti?
Certo. Abbiamo molti interessi comuni. La varietà al nostro interno, i diversi tipi di aziende e i vari metodi di produzione sono uno dei punti di forza dell’agricoltura svizzera. Non vogliamo un’agricoltura unica. Le differenze non sono un ostacolo, ma un punto di forza.
LID; Markus Rediger e Jonas Ingold. Traduzione e adattamento CB

Qual è la sfida principale che deve affrontare come nuovo direttore dell’USC?
Riuscire, nonostante l’abbondanza di dossier, ad avere posizioni chiare e grazie ad argomenti validi e una buona comunicazione, condividere con tutti le nostre posizioni. Se si considerano le innumerevoli richieste che riceve oggigiorno l’agricoltura, è questa la sfida più grande.
Ha un messaggio per i consumatori?
Hanno in mano il nostro destino. In genere i consumatori svizzeri hanno una grande fiducia nei prodotti svizzeri e sono anche disposti a pagarli. È importante che i consumatori mantengano questa fiducia, soprattutto quando sono davanti agli scaffali dei negozi. È il sistema migliore per continuare ad avere voce in capitolo sul tipo di agricoltura che vogliono.
E uno per gli agricoltori?
Il consiglio che do alle famiglie contadine è di pensare in termini commerciali. Concentrarsi sul mercato. Inoltre, in questi tempi difficili, non devono lasciarsi turbare dalle critiche, ma difendersi, mantenendo la fiducia in sé stessi, fieri delle tante conquiste fatte dall’agricoltura svizzera.
