Davide Cadenazzi, classe 1977, gestisce l’azienda agricola e vitivinicola di famiglia da un quarto di secolo. Formatosi da ragazzo come macellaio e salumiere, ha poi frequentato Mezzana e in seguito ha conseguito il brevetto federale in viticoltura alla HES-SO di Changins. E Adesso? Sta seguendo il corso per ottenere l’attestato professionale federale di sommelier alla SSSAT di Bellinzona.

Davide, com’è nata l’idea di un’ulteriore formazione?

«L’idea di iscrivermi al corso per diventare sommelier mi è venuta durante la pandemia. È stata un’esigenza personale, volevo fare qualcosa per me. Quando mi sono iscritto non pensavo al mio lavoro, al fatto che poteva tornarmi utile in qualche modo».

Poi però…

«Mi sono reso conto che sto ricevendo un sacco di spunti che mi permettono di unire le mie due anime, quella di macellaio salumiere e quella di viticoltore e vinificatore, soprattutto per le possibilità di abbinamento che ci sono tra un vino e un piatto. Grazie a questa formazione riesco a mettere ordine nelle mie professioni e nei miei prodotti, riuscendo a comunicare i valori che voglio trasmettere attraverso di essi. È sempre molto divertente poter azzardare anche degli abbinamenti insoliti. Per esempio, non molto tempo fa, ho abbinato il mio Doral (un vitigno bianco, n.d.r.) vinificato in purezza con un risotto ai porcini freschi e arance. Inaspettato, ma davvero molto apprezzato».

Dal tuo punto di vista, anche alla luce del corso che stai seguendo, qual è il livello di competenza di chi beve e acquista vino in Ticino?

«Dipende da che cosa intendi per competenza. Io penso che chi acquista e beve vino debba essere in grado di dire e sapere che cosa gli piace e che cosa non gli piace. Poi spetta a chi glielo vende o glielo fa assaggiare fargli le proposte giuste. Bisogna considerare il cambio generazionale e il fatto che la clientela diventa sempre più competente ed esigente. C’è sempre di più la voglia di qualcosa di nuovo. Per il futuro ci si può attendere una richiesta di vini di qualità sempre più elevata per soddisfare i bisogni di conoscenza e l’interesse dei “nuovi” consumatori».

E qual è il futuro del vino ticinese dal tuo punto di vista? Più rosso o più bianco? E le nuove generazioni?

«Per volumi è ancora il rosso a farla da padrone, il bianco però sta conquistando sempre più mercato, anche in Ticino. È più conviviale, più legato all’occasione importante e forse risponde meglio alle nuove esigenze di consumo. Per i giovani, per lo meno quelli che incontro qui da me in cantina, devo dire che hanno un approccio diverso, più interessato. Direi che hanno più voglia di approfondire».

Di vino abbiamo parlato parecchio, tu però non sei partito dal vino. Come ci sei arrivato?

«Il mio primo apprendistato è stato di macellaio salumiere, poi ho fatto la maturità professionale tecnica e la mia idea era quella di continuare a studiare. Mio papà ai tempi aveva la classica azienda agricola del Mendrisiotto con vacche da carne e vigna e nel 1997 l’azienda mi ha chiamato. E così, non ancora ventenne, mi sono ritrovato a gestirla. Mia sorella Ilaria, che di anni ne aveva 18, nello stesso periodo aveva preso in gestione un grotto a Morbio Inferiore. Siamo entrati tutti e due piuttosto giovani nel mondo del lavoro. Il grotto andava bene, serviva vino, e così abbiamo aumentato la produzione. Ho piantato vigneti, aumentato la superficie vignata e l’azienda è cresciuta. All’inizio la produzione era destinata solo al grotto, poi mi sono appassionato e ho fatto il diploma di cantiniere e viticoltore a Mezzana e da lì l’azienda ha preso una direzione più orientata al vino».

La collaborazione con tua sorella continua.

«È lei che si occupa degli eventi agrituristici qui in cantina e da quando ha iniziato nel periodo estivo (da metà giugno a inizio ottobre) a gestire la capanna Scaletta in alta valle di Blenio, di proprietà della SAT Lucomagno, facciamo anche un bianco e un rosso con un’etichetta esclusiva per lei. Il fatto di poter servire i nostri affettati e i vini che facciamo noi e quel rapporto che si crea con i clienti che ti conoscono per me è molto importante. Sai, quando qualcuno, sotto Natale, viene qui a prendere magari un salame e magari anche un gallo, perché a Natale vendiamo anche i galli che alleviamo, e poi prende anche un paio di bottiglie di vino: sapere che mette in tavola diversi nostri prodotti è una bella soddisfazione. Noi, per il nostro pranzo di Natale in famiglia, non compriamo praticamente niente. Si tratta di un pranzo semplice, con i nostri salumi, il nostro affettato, il nostro gallo, le verdure del nostro orto e beviamo il vino che facciamo noi. È eccezionale avere una tavola imbandita a Natale con tutti prodotti fatti da noi».

Che salumi fai?

«I classici ticinesi: salami, mortadella, codegotti, pancetta, lardo, luganighetta, luganiga, prosciutti, coppe.Con la luganiga e la luganighetta c’è sempre un po’ di confusione, perché ci sono quelli che le chiamano tutte e due “salsiccia”. E poi per noi, nel Mendrisiotto, le luganighe sono i cudéghitt, invece i cotechini sono i codégott, allora può capitare che si faccia un po’ di confusione, ma poi, alla fine, ci si capisce. A me, sia per i vini che per i salumi, non interessano i grandi volumi, cerco un prodotto che sia apprezzabile e di qualità e buona parte di quello che vendo lo vendo in vendita diretta o con l’attività agrituristica».

Però hai anche altri canali di smercio

«Anche se buona parte delle vendite le faccio qui in cantina, o durante gli eventi come cantine aperte, o a San Martino che per noi è un po’ il clou della stagione, ho anche alcuni buoni clienti tra i rivenditori. Mi dà anche molta soddisfazione lavorare con quei ristoratori che hanno competenza nel loro lavoro e con cui si sviluppa un rapporto di fiducia e di scambio».

E per il futuro?

«Quest’idea di unire cibo e vino, di creare abbinamenti e di avere a che fare direttamente con le persone mi affascina da sempre. Si sente spesso parlare di esperienza legata al prodotto e io sono convinto che tanto per i turisti, quanto per i clienti locali, si possa fare ancora molto per fargli assaggiare un pezzo di Ticino. Ho tante idee in testa, tanti spunti e mi piacerebbe molto andare in quella direzione lì».

Cristian Bubola