Chi esce regolarmente per andare alla ricerca di erbe spontanee si accorge presto che una delle piante che si incontra con più assiduità lungo i sentieri è la piantaggine (Plantago lanceolata; Plantago major).

È un’amante dei terreni battuti, la troviamo sugli sterrati, lungo i campi coltivati e prospera in tutte quelle terre “disturbate” dalla presenza umana. È una pianta che, nel corso dei secoli, ha mostrato la determinazione di voler camminare al nostro fianco, nutrendoci e sostenendoci lungo il nostro tragitto umano.

Il suo nome sembra derivare proprio da “planta” per le sue piatte foglie basali e le nervature parallele, che evocano la pianta del piede. In effetti si è fatta strada nel mondo “a piedi”: da grande viaggiatrice si è protratta dall’Europa fino all’America approfittando dei percorsi battuti o “calpestati” dai coloni. I suoi semi si attaccavano alle scarpe e ai pantaloni degli Europei e verdi macchie di Piantaggine spuntavano ovunque essi andassero. Anche nel nuovo mondo è stato colto questo legame con i piedi ed è stata ribattezzata “l’impronta dell’uomo bianco” dai nativi nordamericani. Nelle culture contadine, quando si doveva camminare a lungo, si metteva proprio dentro le scarpe per dare sollievo ai piedi1.

La capacità di crescere su suolo compatto, inospitale a molte altre piante, è ciò che la caratterizza. Forte e determinata, riesce a estrarre nutrimento da terreni duri e calpestati, proprio come riesce ad “estrarre” corpi estranei, spine e veleni da ferite, facilitandone anche la cicatrizzazione. Non a caso i viandanti la portavano in viaggio, mettendola proprio sotto la pianta dei piedi per ogni evenienza. I terreni compatti e battuti e che facilmente rimangono spogli da altre piante, vengono quindi “trattati” inizialmente dalla piantaggine, che ha anche la capacità di renderli maggiormente ospitali. Dunque questa sua tendenza a seguirci ci permette non solo di curare le ferite corporee ma di lenire anche quelle ecologiche, che spesso ci lasciamo dietro. Dafne Chanaz, raccoglitrice e docente di fitoalimurgia, la descrive così: «Rappresenta in tutto e per tutto l’attaccamento alla madre terra e la resistenza, nonché la capacità di rigenerarsi e superare il dolore2».

Oggi la troviamo presente nelle farmacopee di moltissimi paesi del mondo. In Svezia e in Norvegia, il suo nome è groblad, ovvero “foglie guaritive”. La sua capacità di agire come cicatrizzante su tagli a livello topico e su lesioni interne è legata alla ricchezza in tannini ed al loro potere astringente. Al contempo esercita un’azione lenitiva sulle

ferite grazie al contenuto di mucillagini e polisaccaridi, che proteggono e sfiammano i tessuti irritati. Questa doppia e particolare azione emolliente e astringente la rende indicata nei casi di tessuti secchi, che tendono a spaccarsi e a sanguinare. Ha un effetto simile sulle vie respiratorie in cui esercita un effetto espettorante e anche lenitivo su sintomi della tosse.

Per far sì che il suo effetto raggiunga le lesioni interne del tratto digestivo è indicata una tisana delle sue foglie. Nel caso di tagli, il metodo tradizionale prevede di raccogliere le foglie fresche, masticarle in bocca e poi applicare la poltiglia sulla ferita, ma si può preparare altrimenti un oleolito da tenere nel caso del bisogno. La piantaggine è anche nota per la sua azione antistaminica che può sempre tornare utile quando siamo in natura per trattare gonfiori da pizzichi d’insetti e reazioni allergiche in generale, in mancanza di altro!

Potendola trovare facilmente sui sentieri tutto l’anno, questa pianta è sempre pronta all’uso in cucina. La sommità del fiore e le foglie hanno un aroma che ricorda quello dei funghi.  La primavera si presta di più alla raccolta, in quanto le foglie sono più tenere e sono gradevoli aggiunte crude in piccole quantità alle nostre insalate, frullate crude per preparare il pesto o cotte e aggiunte ad altre verdure a foglie per farcire torte salate, ravioli, ecc. Possiamo inoltre seccare le foglie raccolte in primavera per poi guarnire brodi e minestre in altre stagioni.

1-2 Chanaz, D. 2021. Il Prato è in tavola. Le piante selvatiche commestibili d’Italia. Terra Nuova Edizioni.

Giorgia Tresca