L’Associazione dei castanicoltori della Svizzera italiana, attiva da più di vent’anni, ha di recente ricevuto un importante riconoscimento. Il suo ruolo di raccordo tra le diverse competenze legate al patrimonio castanile continua e si rinnova.
Il 30 di agosto è stata comunicata l’assegnazione del Premio Schulthess per i giardini 2022 all’Associazione dei castanicoltori della Svizzera italiana. Queste le motivazioni del premio:
«Senza le opportune cure, in pochi anni i castagneti si trasformerebbero in boschi densi di altra vegetazione. Per la salvaguardia della ricca tradizione culturale legata al castagno e alle selve castanili si impegnano numerosi privati, istituzioni pubbliche e imprese». Proprio per omaggiare questo impegno, Patrimonio svizzero ha conferito il Premio all’Associazione dei castanicoltori della Svizzera italiana che, dal 1999, «unisce forze e sinergie nel promuovere la cultura del castagno».
Partiamo dal premio con il presidente dell’associazione Giorgio Moretti e da un passaggio riportato nella pubblicazione diffusa da Patrimonio Svizzero. In particolare dal brano che sottolinea l’enorme cambiamento che c’è stato nel passaggio da «quasi venti secoli di castanicoltura legati a necessità di sopravvivenza», a un’altra dimensione, più attuale, orientata al «valore paesaggistico ed ecologico e alla riscoperta di legami storico culturali» della gestione del castagno.
Giorgio, potresti chiarire il valore ecologico, che è forse quello meno immediato? «Il valore ecologico delle selve castanili è da mettere in relazione alle aspettative che la nostra società cerca nel territorio, come ad esempio nelle selve castanili ripristinate in circa 30 anni di attività del Servizio forestale, con il sostegno della Confederazione e del Fondo svizzero per il paesaggio. Studi scientifici hanno indentificato diverse specie di uccelli che trovano degli habitat favorevoli nei boschi aperti, come le selve, oltre ad alcune specie di pipistrelli che hanno bisogno di ambienti alberati ma molto aperti per cacciare e di alberi vecchi con delle cavità per riprodursi in sicurezza. Sempre grazie a degli studi di analisi delle selve castanili, inoltre, si è scoperto che le femmine di alcune specie di chirotteri migrano ogni anno fino al Nord della Germania per poi fare ritorno nei nostri castagneti, dove sono rimasti i maschi. In generale, si può dire che i boschi aperti e luminosi sono favorevoli sia a specie vegetali, sia a specie animali».
Dopo tutto il lavoro di ripristino fatto negli ultimi trent’anni, quanto margine c’è ancora per il recupero delle selve nella Svizzera Italiana? «Ci sono ancora delle zone con possibili selve che presentano delle caratteristiche di potenziale recupero, ma si stanno esaurendo. Soprattutto se si considera il ragionevole limite dettato dal rapporto costi/benefici».
Da ultimo: che cosa ha significato per voi ricevere un premio così importante? «Ci riempie di orgoglio e rappresenta un grandissimo riconoscimento per tutti coloro che hanno sempre creduto in questo tipo di attività. Premia sicuramente l’Associazione dei castanicoltori della Svizzera italiana, ma anche un insieme molto vasto di enti, ad iniziare dal Cantone e dalla Confederazione, come pure il Fondo Svizzero per il paesaggio, oltre che moltissimi appassionati. Di sicuro non va dimenticato il grande sostegno ricevuto dai proprietari pubblici di questi boschi: i Patriziati che, fin dal principio, hanno creduto in queste attività di ripristino e valorizzazione. Questo premio dimostra inoltre anche la grande attenzione che enti importanti come il Patrimonio svizzero, che gestisce il Premio Schulthess, hanno nei confronti di attività regionali con un forte impatto a livello nazionale».

La Selva del futuro
Dal recente riconoscimento ottenuto e da quanto fatto negli ultimi trent’anni per il castagno, cerchiamo adesso di proiettarci nel futuro e, grazie a Giona Mercolli, direttore del vivaio di Lattecaldo, cerchiamo di capire come procedere per creare una selva che raggiunga il suo splendore, ad esempio, nel 2122. «Bè, innanzitutto bisognerebbe comprare dei castagni innestati al vivaio cantonale», scherza ma fino a un certo punto. «L’ideale sarebbe poi metterli a dimora in autunno, così che abbiano il tempo di produrre radichelle che fissino la pianta al terreno e per un’acquisizione ottimale dell’acqua. Soprattutto nei primi anni il castagno va curato e coccolato: serve un palo tutore per stabilizzarlo, una recinzione di protezione contro gli ungulati e bisogna irrigarlo così che possa sviluppare un apparato radicale performante». Poi è fatta? «In realtà, oltre alle cure per la sua sopravvivenza, i primi anni sono cruciali anche per il portamento che avranno i rami. Servono potature mirate per dare al castagno la forma adatta alla produzione di frutti creando un’impalcatura dei rami laterali. Una volta impostato il portamento, negli anni a seguire basteranno piccole correzioni con potature di alleggerimento». Non è semplice, in ogni caso. «No, è necessario seguire queste indicazioni, ma serve anche molta pazienza. Solo così la pianta potrà crescere sana e rigogliosa e diventare un albero secolare e produttivo». Non abbiamo però ancora detto niente della dimensione di questa ipotetica selva. «Il castagno diventa imponente soprattutto in volume. Per questo si consiglia di metterli a dimora a una distanza di almeno 8-10 metri l’uno dall’altro, così che possano svilupparsi senza costrizioni».
Giona, c’è già chi sta pensando alla selva del futuro? «In realtà l’interesse per il castagno è davvero vivo e proprio quest’anno verranno messe a dimora 100 piante di Marroni Lattecaldo a Monteceneri per creare una selva produttiva per le caldarroste. Altri castagneti produttivi stanno crescendo nel cantone e sarà davvero interessante vedere come si svilupperanno nei prossimi anni».
Il grembiale: Oltre alle piante e ai frutti, per mantenere viva una tradizione è necessario recuperare e rinnovare tradizioni e costumi del passato. L’iniziativa più recente in questo senso è stata la creazione di un grembiale per la raccolta delle castagne. L’idea è venuta a Lara Monti, ex membro del comitato dei castanicoltori, che ha coinvolto Deborah Erin Parini, che lavora come sarta di scena e stilista nel suo atelier ASÜRo a Rivera. «All’inizio l’idea era quella di utilizzare le vecchie lenzuola delle nonne, che quasi tutti hanno in Ticino. I grembiali, in passato, erano proprio fatti con le lenzuola. Non sono difficili da realizzare: si tratta di un rettangolo di stoffa con un semicerchio ritagliato e bordato, il tutto piegato a metà e tenuto assieme con una cintura di stoffa per legarlo alla vita». E quali sono i vantaggi del grembiale? «Io non l’ho ancora usato, però penso sia più comodo perché si hanno entrambe le mani libere e le castagne restano sempre sul fondo». Per ora ne sono stati realizzati 50 per gli adulti e 30 per i bambini, naturalmente col logo dei castanicoltori. Chi volesse ordinarlo può scrivere una mail a: associazione.castanicoltori@gmail.com o chiamando il numero 076 221 22 98.

La nuova linfa
A conclusione di questo articolo proponiamo una doppia intervista a Lia Sacchi ed Emanuele Neve, i due nuovi membri di comitato dell’associazione subentrati rispettivamente a Lara Monti e Luca Plozza.
Lia Sacchi, 35 anni, di Brione Verzasca, è ingegnere ambientale e il suo piatto preferito con le castagne sono i brasch (le castagne al fuoco).
Emanuele Neve, 40 anni, di Rossa, lavora come forestale in Calanca e a San Vittore e il suo piatto preferito con le castagne è la torta di castagne dell’Angela Pollicelli.


Ma partiamo dal loro primo ricordo legato al castagno
Emanuele: «Da piccolo andavo a raccogliere le castagne dopo la scuola con la mamma e la nonna Adele». Anche Lia, originaria della Valle Maggia, andava a castagne con i nonni ai Ronc di Moghegno. «Ci insegnavano a farlo senza pungerci e a distinguere quelle buone da quelle già mangiate dai vermi. Il nonno poi le cucinava sul fuoco e le mangiavamo per merenda con la cioccolata calda».
In tempi più recenti, Lia Sacchi ha creato in Verzasca la manifestazione Mès der castégna, che per tutto il mese d’ottobre prevede eventi legati al tema del castagno e della castagna. «L’intento è quello di tener vivo il patrimonio culturale legato alle castagne, coinvolgendo anche le persone anziane della valle perché raccontino i loro ricordi legati alla castanicoltura». Emanuele invece ha partecipato al recupero di selve castanili come forestale sia per un’impresa, sia per il cantone. «Quando ero in impresa, un progetto che mi ha appassionato molto è stato il recupero della selva castanile di Castensago, a Lelgio, abbinato alla costruzione dell’aula didattica. Si è trattato di un bel progetto sia per la biodiversità del bosco, che per la didattica e lo svago. Come forestale cantonale il recupero fatto lo scorso anno della selva di quasi 4 ettari e con castagni monumentali di Buseno, che si trova all’imbocco della val Calanca. E poi devo citare la gra a Monticello, l’unica ancora presente nel Moesano. Lo scorso anno, con gli amici della gra, abbiamo acquistato un mulino per la macinazione e la produzione della farina. Carichiamo ogni anno 3-4 quintali di castagne. Per noi si tratta di un oggetto di importanza assoluta dal profilo storico culturale».
Che cosa vi ha portato ad entrare nel comitato dell’Associazione dei castanicoltori della Svizzera italiana?
Lia: «Negli ultimi anni sono tornata ad interessarmi attivamente al tema del castagno e della castagna e con il “Mès der castégna” ho conosciuto l’Associazione dei castanicoltori della Svizzera Italiana e il grande lavoro che fanno per la salvaguardia del castagno e della sua coltura. Il tema mi appassiona molto e ho voluto dare il mio appoggio e contributo».
Emanuele: «La passione che ho per il mio lavoro, per la bellezza che ha il castagno sia come pianta, sia per tutta la storia che vive intorno a un arbol».
Quali sfide dovrà affrontare il castagno nella Svizzera italiana?
Lia: «Una delle sfide che dovrà affrontare è sicuramente il cambiamento climatico. La siccità vissuta durante questo ultimo anno ha messo a dura prova le piante di castagno, in particolare nel Medrisiotto. Le regioni che ora sono terre di castagni probabilmente nei prossimi anni dovranno trovare delle soluzioni per l’aumento delle temperature e la diminuzione delle precipitazioni. La pianta potrebbe però trovare nuovi habitat in quota, dove attualmente è poco presente».
Emanuele: «Penso che una delle sfide future sarà quella di preservare le piante monumentali e cercare di preservare le specie locali che stanno rischiando di scomparire. Sotto il profilo culturale invece direi che per le “vecchie” generazioni il tema è chiaro, una sfida che ci vede coinvolti con i giovani è riuscire a trasmettergli quanto può dare una pianta come il castagno. Piantare un castagno, magari assieme al proprio nonno, ha un valore infinito!»
Cristian Bubola