La chiusura della catena di negozi Müller Reformhaus a inizio anno e altre notizie arrivate dalla Svizzera romanda sulla chiusura di negozi di prodotti bio, come la Fattoria urbana di Petit-Saconnex nel canton Ginevra o il negozio Terre Vaudoise a Losanna, stanno facendo riflettere sulla sorte dei negozi bio. Ma è soltanto un problema dei negozi specializzati o c’è anche una questione legata allo smercio?
Sul finire dello scorso anno aveva anche fatto scalpore la notizia che Migros e Coop si fossero rifiutate di comunicare a Mister Prezzi i loro margini di guadagno sui prodotti biologici. Di recente si è aggiunto un nuovo capitolo: è emerso che i margini di guadagno sui prodotti biologici in Svizzera risultano molto più elevati rispetto ad altri paesi europei e, soprattutto, più elevati rispetto a quelli dei prodotti convenzionali. Un accordo per un impegno volontario da parte della grande distribuzione per ridurre questo margine non è però stato accettato. La domanda principale a questo punto, che si è posto mister prezzi, è la seguente:
Com’è conciliabile l’obiettivo del Consiglio federale di aumentare il numero di aziende agricole che producono nel rispetto dell’ambiente e degli animali, aderendo a programmi di sostenibilità pubblici e privati con una domanda che si adatti a un’offerta destinata a crescere se, i prezzi dei prodotti biologici diventano troppo elevati?
In parole più semplici, se da un lato società e politica sembrano richiedere prodotti bio, più rispettosi dell’ambiente, dall’altro l’inflazione e il ridotto potere d’acquisto rischiano di farli diventare troppo cari per le tasche di chi acquista.
Ci sono diverse filiere del bio
Una prima distinzione necessaria riguarda però il tipo di filiera. Gran parte della produzione bio, circa l’80%, viene venduta da Migros e Coop. Discount e negozi specializzati, in base all’ultimo rapporto pubblicato dall’UFAG, si spartivano poco più del 15% del mercato. In quello che rimane è inclusa anche la vendita diretta di alcune aziende agricole biologiche che vendono per lo più prodotti loro e altri che acquistano, ma che molto di rado hanno altri settori oltre all’alimentare. I negozi bio specializzati invece, sia che facciano parte di una catena sia che si basino sull’iniziativa di un singolo, rivendono prodotti d’acquisto. Inoltre, una parte del loro mercato è legato anche a cosmesi e benessere.
La questione del controllo dei margini per un produttore diretto che rivende i propri prodotti al mercato o in vendita diretta nel negozio in fattoria, ad esempio, è ben diversa da chi gestisce un negozio specializzato in prodotti bio e acquista per lo più da rivenditori specializzati nazionali o esteri. Va però sottolineato che anche i negozi specializzati bio rivendono prodotti alimentari, magari di nicchia, di agricoltori biologici ticinesi.

Partiamo dal mercato di Lugano e da chi fa per lo più vendita diretta
Chiara, Lina e Maurizio Cattaneo sono orticoltori bio e vendono i loro prodotti al mercato di Lugano e a quello di Mendrisio. Per avere più varietà, naturalmente, oltre a quelli di produzione propria hanno anche prodotti d’acquisto che rivendono. Tutti certificati bio. Chiedo a Chiara se qualche cliente si è lamentato dei prezzi, perché tra le motivazioni che hanno portato alla chiusura di ReformHaus, c’erano anche le continue lamentele dei clienti per prezzi troppo alti. I Cattaneo nel 2022 non hanno aumentato i prezzi dei loro prodotti e non ci sono state lamentele su questo fronte. È stato però registrato un calo delle vendite. «È difficile da quantificare, ma senza dubbio siamo andati indietro, forse del 20-30%», dice Chiara. «Un po’», azzarda, «si è trattato di una reazione al periodo di lockdown. Dopo le restrizioni, niente viaggi, niente uscite. E nel 2022 c’è chi ha deciso di spendere di più in quegli acquisti che per un certo periodo gli erano stati preclusi». Mi dice anche che secondo lei il numero di clienti che acquistavano sul tragitto casa-lavoro si è un po’ ridotto, forse perché parte della clientela continua a lavorare in home office.
Da inizio gennaio il mercato alimentare di Lugano è tornato in Piazzetta della posta e le bancarelle di generi alimentari del venerdì: quella dell’orticola Cattaneo, quella con i formaggi e i formaggini di Aurelio Vizzardi e quella di Fanny Senn, che vende soprattutto prodotti caseari della val di Blenio, e quella del PaneLento, sono una accanto all’altra. Fanny Senn, che vende sia prodotti suoi sia di altri, biologici e non, mi dice che lei non ha notato una grande differenza nelle vendite e che da quando ha iniziato a vendere al mercato di Lugano, nel 2019, i clienti sono sempre aumentati. «Ogni tanto, qualcuno dice qualcosa sui prezzi, ma poi, comunque torna». Ci dice anche di come durante la pandemia, dopo il primo periodo in cui i mercati cittadini erano stati sospesi, c’era stato un po’ un boom.
Parlo anche con Filippo Moreo di PaneLento, il panificio artigianale che ha aperto nel 2016 in zona Piazza Molino Nuovo. «Per noi, da quando abbiamo iniziato a farlo, il mercato è sempre stato un successo. Il numero di clienti è aumentato in modo costante». PaneLento vende prodotti di panetteria realizzati con farine biologiche e non. E lo stesso vale per gli altri prodotti che si possono comprare in negozio, che sono sia bio sia convenzionali. «Il bio è una parte del valore del nostro prodotto. Abbiamo prodotti certificati bio e altri che invece non lo sono. Siamo noi che certifichiamo la qualità e per noi conta che si senta l’artigianalità del prodotto».
Al mercato di Lugano le impressioni sono discordanti. Se c’è chi parla di calo, c’è anche chi non ha registrato grandi cambiamenti o addirittura riferisce di una crescita continua. Un criterio che sembra però guidare la clientela, più della certificazione bio, pare essere l’ampiezza della scelta.
Me lo conferma anche Tessa Tognetti, che nella sua azienda agricola, Colombera, ha uno dei negozietti bio di vendita diretta più riforniti del cantone. Nemmeno Colombera ha aumentato i prezzi sui propri prodotti lo scorso anno e quindi non ci sono state lamentele da parte dei clienti. Una riduzione delle vendite però, dopo il boom della pandemia, si è senz’altro registrata ma si è più o meno ritornati sui livelli del 2019. «È chiaro che nel frattempo i costi sono aumentati. Adesso li calcoleremo con precisione, ma se aumenteremo i margini saranno in ogni caso minimi. È nel nostro interesse tenerli il più bassi possibile, per aumentare le possibilità di smercio».
E per i negozi specializzati?
Nelly Rossetti, del negozio BioBiasca, ci dice che le lamentele sui prezzi sono rare. «Con i clienti abituali non succede. Si tratta di persone che privilegiano gli acquisti consapevoli e che apprezzano la consulenza che ricevono e sanno che questa consulenza rientra nel prezzo finale del prodotto. Le considerazioni sul prezzo vengono fatte più che altro da clienti che mettono piede nel negozio per la prima volta e non sanno tutto quello che ci sta dietro». Barbara Candolfi del Biosfera di Locarno ci dice che spesso con il bio c’è un pregiudizio, che in fondo c’è sempre stato. «In molti credono che il prodotto bio abbia un prezzo proibitivo e poi si rendono conto che invece è decisamente accessibile». Anche loro confermano che quanto successo lo scorso anno potrebbe essere descritto come un ritorno al periodo pre-pandemico. E se c’è stato un innegabile boom, soprattutto all’inizio della pandemia, adesso le cifre d’affari sono tornate ad essere più o meno quelle del 2019. Anche se, è innegabile, come mi conferma Barbara Candolfi, che si è sempre più confrontati con nuove tendenze di consumo e nuove pratiche di smercio dei prodotti alimentari.

Nuove abitudini e nuove vie
A minacciare lo smercio dei prodotti biologici venduti nei piccoli negozi, o in vendita diretta, ci sono naturalmente anche le nuove abitudini d’acquisto che portano parte della clientela a comprare anche gli alimentari online sulle piattaforme della grande distribuzione. La strategia di vendere sia prodotti bio sia convenzionali, come abbiamo visto, non è prerogativa esclusiva della grande distribuzione, e si tratta di una scelta che viene nella maggior parte dei casi apprezzata dal cliente, che premia il fatto di avere la possibilità di scegliere tra un numero maggiore di prodotti. Un altro punto fondamentale è la questione di dove si trovano i negozi. Se una volta avere un negozio di verdure in centro città era considerata come una grande opportunità, adesso è meglio trovarsi in un posto facilmente raggiungibile in auto, magari su un asse stradale trafficato, con tanti posteggi e di facile accesso e non troppo lontano dagli svincoli.
Le sedi più recenti dei supermercati vengono infatti costruite seguendo più o meno la stessa logica dei fast food. E il delivery rischia di diventare sempre più una pratica che non avrà a che fare solo con il cibo pronto. Ci sono però, per fortuna, delle sacche di resistenza, come chi continua ad andare ai mercati cittadini, direttamente dai produttori o chi acquista tramite ConProBio.
L’ultima frontiera, che si sta sviluppando anche in Ticino, sono le comunità di supporto agricolo o CSA, gruppi di persone che decidono di coltivare assieme ad altri le proprie verdure. I precursori sono stati Seminterra sul Piano di Magadino, a cui han fatto seguito il Gemmo di Breganzona e il neonato progetto Nutri-Ti.
Se si considerano però i volumi riportati, che assegnano oltre l’80% del mercato del biologico a Migros e Coop, si capisce che stiamo parlando di vere e proprie nicchie. La direzione ormai sembra segnata: nuove abitudini, digitalizzazione e scarsità di tempo la stanno sempre più facendo da padrone. Per trovare una risposta alla domanda fatta da Mister Prezzi, ossia come si possa conciliare la direzione della politica agricola verso il bio con margini di guadagno che sembrano decisamente troppo alti, bisognerà aspettare qualche anno e a posteriori, forse, capiremo una strategia che al momento ci sfugge.
Cristian Bubola