Non è un segreto: negli ultimi anni, si sta assistendo a un cambio di tendenza. Sempre più aziende storicamente conosciute per l’allevamento di vacche da latte si stanno convertendo all’allevamento di nutrici per la produzione di carne. Come mi conferma Omar Pedrini, presidente dell’Unione Contadini Ticinesi, «il cambiamento c’è ed è essenzialmente dovuto all’orientamento della politica agricola», una politica sempre più indirizzata a garantire l’approvvigionamento alimentare nazionale sostenendo l’ambiente e la biodiversità, così come ad agevolare coloro che si impegnano maggiormente per garantire il benessere dei propri animali, per esempio garantendo loro il pascolo all’aperto tutti i giorni. Ma il discorso non si ferma qui.

Vale senz’altro la pena notare che, prima che in Ticino, questo cambiamento si è osservato a livello nazionale. In un articolo pubblicato lo scorso 14 febbraio sullo Schweizer Bauer si legge che il numero di aziende agricole produttrici di latte continua a diminuire di anno in anno. Come riportato nell’articolo, nel 2003 in Svizzera c’erano 33’000 aziende attive nel settore. Oggi quel numero si è quasi dimezzato raggiungendo nel 2022 il totale di 17’603. A smettere sono state soprattutto le aziende di piccole-medie dimensioni, per ragioni legate al mercato del latte traballante e al costante aumento dei costi di produzione che di recente ha subìto una vera e propria impennata.

Meno vacche da latte, più nutrici

Dai dati dell’ultimo rapporto annuale sul mercato della carne di Proviande, dal 2012 al 2021 l’effettivo di bovini in Svizzera, che comprende vacche da latte, vacche nutrici e altri bovini, è calato da poco più di 700’000 unità a 670’000 circa. In questo stesso lasso di tempo quello di vacche nutrici passava però da 120’000 a 140’000.

L’aumento delle vacche nutrici si registra anche in Ticino. A confermarlo è anche Dario Barelli, consulente di Vacca Madre Svizzera al sud delle Alpi: «a novembre 2016 in Ticino c’erano 13 allevamenti iscritti al libro genealogico e 29 aziende inserite nei programmi di Vacca Madre. Alla fine del 2022 il numero delle aziende affiliate è cresciuto a 39. In particolare, i Natura-Veal su cui puntiamo molto, programmi per l’allevamento dei vitelli al pascolo con la madre fino ai 5 mesi, stanno aumentando». Questo tenendo in considerazione il fatto che «non tutte le aziende che si convertono possono inserirsi nei programmi di Vacca Madre, se non raggiungono i requisiti necessari». C’è infatti anche chi passa all’allevamento di nutrici su piccola scala affidandosi alla vendita diretta. Ciò che è chiaro è che «a cambiare tipo di produzione sono molti». I programmi di VMS, orientati a un allevamento particolarmente rispettoso degli animali, garantiscono in sostanza agli allevatori di accedere ai canali di smercio della grande distribuzione.

Manzi di razza Charolais.

C’era una volta il latte

«Capitava spesso di restare senza mungitori. La differenza di salario tra l’agricoltura e l’impresa allora era un abisso, quindi capitava facilmente che restavi senza personale. Ed era un grande problema, dato che con le vacche da latte c’era tanto lavoro manuale da fare». A parlare è Robert Aerni, che oggi alleva le proprie nutrici di razza Charolais a Gordola. In origine, però, a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70, in azienda anche la sua famiglia aveva le vacche da latte. La conversione per loro arriva presto, già nel ’73, quando oltre ai problemi con la manodopera di allora, «si trattava anche di dover aggiornare le strutture che non erano più al passo coi tempi». Iniziarono quindi ad acquistare manzette, ingrassarle e poi rivenderle. Questo fino al 1978, quando l’allevamento di vacche nutrici iniziò a diffondersi anche in Ticino.

Anche Romano Reboldi, che alleva a Sant’Antonino le proprie nutrici di razza Aberdeen Angus, non è sempre stato attivo nel ramo dell’allevamento. Le ragioni della conversione però sono altre. «Quando ho ritirato l’azienda da mio papà nel ’93 avevamo ventidue vacche da latte. A quei tempi, il prezzo del latte era molto più alto di adesso, ma col tempo è sceso sempre di più. Abbiamo cominciato con gli Angus verso il 2000, con tre vacche nutrici. Poi nel 2007, quando abbiamo dovuto spostare l’azienda da Camorino, ho venduto il contingente del latte e deciso di costruire la nuova stalla per vacche nutrici».

L’azienda agricola La Caldera, di Giulia Quadroni, è nata invece nel ’96, con capre e vacche da latte per la produzione di formaggio. Poi, nel 2007, la stalla venne distrutta da un incendio e una volta ricostruita, per mancanza di mercato Giulia dovette prendere la decisione di convertirsi. Oggi a Origlio alleva nutrici di diverse razze, ma è soprattutto conosciuta per i suoi Wagyu.

Razze di ogni tipo

Oggigiorno, anche in Ticino, nelle aziende che allevano vacche nutrici si possono incontrare le razze bovine più disparate, ma non è sempre stato così. «Una volta era proibito importare razze non svizzere», mi racconta infatti Aerni. «Parliamo ancora degli anni ’80. Poi pian piano si è cominciato a importare e infine c’è stata la totale apertura: un errore, secondo me, perché si è importato di tutto e di più». Ed ecco comparire nelle aziende agricole elvetiche esemplari di razze da carne provenienti da tutto il mondo. Se un tempo vi erano soprattutto vacche di razza Bruna, oggi in Svizzera si contano infatti ben 64 razze diverse di bovini. I fratelli Aerni puntano sulla Charolais, una razza di origine francese che in Svizzera è un po’ una rarità. «Sono animali grandi e danno una carcassa molto pesante che forse non è molto adatta al mercato locale, che richiede un taglio di carne più piccolo. All’estero la fanno andare anche a 5 quintali e qui tenerla ai pesi ideali richiesti da grande distribuzione e consumatori, attorno ai 250 kg, non è sempre facile».

Manzi di razza Aberdeen Angus.

Se la Charolais è una razza poco comune, lo stesso non si può dire per gli Aberdeen Angus, di origine scozzese, che sono tra i bovini più diffusi e conosciuti al mondo. Infatti, come mi dice Reboldi, sono anche «una delle razze più popolose in Svizzera». Al di là della qualità della carne, «si possono definire un po’ rustiche e si possono anche portare al pascolo sull’alpe. D’estate per esempio, mentre le madri e i vitelli pascolano sui terreni della Saleggina, le vitelle di un anno le mandiamo all’alpe così da evitare che vengano montate dal toro».

Un’altra razza bovina che si può facilmente incontrare in Ticino, anche questa di origine scozzese, è proprio la “vacca scozzese”, o Highland Cattle. Si tratta nel concreto di una razza molto rustica e facilmente adattabile al territorio ticinese. Le scozzesi convincono Luca Chiappa già nel 2003, quando le vede alla fiera di San Provino: «sono molto resistenti e non hanno mai niente. Poi son vacche leggere che riescono ad andare dappertutto». Le loro caratteristiche le hanno rese infatti un animale ideale, oltre che per la produzione di carne, per la pulizia dei pascoli e per il recupero di vecchi terreni agricoli.

Ma c’è anche chi cerca di trovare una nicchia di mercato, come Giulia Quadroni. «Abbiamo iniziato con il Wagyu nel 2009 acquistando alcune vacche pezzate dalla Germania gravide con embrioni di Wagyu impiantati». Un esemplare in carne e ossa arriva infatti a costare una fortuna, anche perché il Giappone ne ha vietato l’esportazione. Quindi, ecco pian piano il passaggio all’allevamento di vacche nutrici, che ha però richiesto molto tempo. «Ci son voluti 4 o 5 anni per partire e ci abbiamo messo un bel po’ a immettere la carne sul mercato. Il Wagyu ha una crescita molto lenta e i vitelli impiegano almeno 3 anni per essere pronti per la macellazione», uno dei motivi principali per cui la carne di Wagyu viene venduta a un prezzo superiore alla media. «Poi è una razza molto delicata. Da adulti sono anche animali rustici, ma appena nati sono come dei cerbiatti».

Più tempo per altre attività

«Una produzione con vacche nutrici è più semplice e richiede meno tempo di una con vacche da latte, dando anche agli agricoltori la possibilità di svolgere altre attività accessorie», mi dice Omar Pedrini. Abbiamo potuto appurarlo con gli allevatori intervistati: oltre all’allevamento di nutrici e all’ingrasso di vitelli, per esempio, Luca Chiappa ha una cinquantina di capre con cui fa formaggio e carne e Quadroni lavora il latte di terzi nel piccolo caseificio in azienda, ha le galline ovaiole ed è anche docente a Mezzana. Reboldi è attivo anche in orticoltura, campicoltura e viticoltura e Aerni sui propri terreni coltiva mais da granella, soia e frumento panificabile. Tuttavia, come precisa lui stesso, «se lo fai bene, anche l’allevamento è impegnativo e richiede tempo e presenza continua». Ovviamente, il tipo di gestione e le dimensioni di un’azienda influiscono molto sulla quantità di lavoro necessario.

Highland Cattle, o vacche scozzesi.

Due strade possibili

Allevare nutrici e produrre carne bovina è spesso anche una scelta dettata dal mercato, dal momento che, come mi dice Pedrini, «attualmente il prezzo della carne bovina è migliore di quello del latte». Inoltre, in base alle proprie esigenze, l’allevatore può decidere di limitarsi alla vendita diretta in azienda o di puntare alla grande distribuzione. I vitelli di Reboldi sono allevati secondo le norme del marchio VMS Natura Beef e Swiss Premium Beef e tramite questi canali vengono venduti in Svizzera interna alla Vianco; la carne viene poi immessa tramite la Bell nei supermercati Coop di tutto il Paese. «Una piccola parte resta anche in Ticino. Un macellaio a Losone mi ritira qualche animale e da due anni anche Terrani me ne prende alcune». In alcuni casi, fa anche vendita diretta.

Per Robert Aerni, la vendita diretta non viene presa in considerazione, ma la catena di produzione rimane nei confini cantonali: i suoi animali vengono allevati nell’azienda a Gordola con i programmi di VMS e la loro carne viene macellata, lavorata e venduta tutta in Ticino tramite il marchio di Migros “Nostrani del Ticino”.

La situazione è invece diversa per Quadroni e Chiappa, entrambi agricoltori biologici che si appoggiano sulla vendita diretta. L’affiliazione a Vacca Madre non sarebbe comunque possibile nei loro casi: dal momento che sia i Wagyu che le scozzesi hanno una crescita più lenta rispetto ad altri bovini, la macellazione dei manzi dopo dieci mesi dalla nascita non sarebbe possibile. Chiappa vende la maggior parte ai privati e qualcosa anche a botteghe e ristoranti e Quadroni fa lavorare la propria carne da un macellaio e la rivende in azienda.

La vendita diretta non è però sempre facile. «In Ticino si fa ancora fatica ad accettare la carne di Wagyu, che è ancora poco conosciuta o apprezzata», mi spiega Quadroni. «A molti il grasso magari dà fastidio, e altri non sono disposti a pagare prezzi più alti». Prezzi che sono soprattutto dovuti al semplice fatto che i Wagyu implicano costi di produzione maggiori rispetto ad altre razze, visti i tempi di crescita.

Si tratta di equilibrio

Lo mostrano i dati e lo confermano gli agricoltori: spariscono le aziende produttrici di latte e compaiono allevatori di vacche madri. Il fattore sicuramente positivo è che non tutti coloro che smettono di produrre latte smettono del tutto di produrre derrate alimentari. Tuttavia, il passaggio alla produzione di carne non è sempre facile. Inoltre, vale la pena considerare che il mercato della carne attualmente buono potrebbe in futuro saturarsi. È vero che la Confederazione e la politica spingono nella direzione dell’allevamento rispettoso del benessere animale avvalendosi di determinate razze bovine rustiche per progetti agropastorali e programmi d’interconnessione; bisogna però anche considerare che la stessa Confederazione sostiene che il consumo pro-capite di carne attuale sia troppo elevato (51,82 kg pro-capite, di cui 11,56 kg di carne bovina) e invita la popolazione a consumarne di meno.

C’è poi un discorso anche legato alla tradizione che rischia di scomparire, che richiederebbe troppo spazio per essere affrontato su queste pagine: «Il rischio è anche quello di perdere l’allevamento tradizionale di vacche a duplice attitudine come le Brune», mi dice Omar Pedrini «che in fondo per la cura del territorio possono svolgere lo stesso lavoro di altre razze».

Andrea Arrigoni