Il nostro non è un vero Icewine», mi dice subito Mauro Giudici della Ganna quando lo incontro a casa sua a Malvaglia. In collaborazione con l’amico Vincenzo Meroni di Biasca infatti, qualche anno fa ha lanciato sul mercato Haròu che, pronunciato con l’acca aspirata muta del dialetto malvagliese, significa “(con)gelato”.
Ma prima di spiegare che cosa viene fatto realmente in Ticino, mi addentro incuriosita nei racconti di Mauro e Vincenzo sulla storia del vero Icewine.
«È un vino che si può produrre solo nelle regioni piuttosto fredde come la Germania del nord o in alcune parti dell’Austria. Il Quebec, in Canada, è molto conosciuto per la produzione di questa tipologia di vino. Il clima canadese infatti è ideale per questo vino. Il freddo, la bassa umidità, il vento e i numerosi cicli di gelo-disgelo aumentano la naturale disidratazione dell’uva. L’acqua evapora aumentando così il livello di zuccheri e l’acidità nell’uva. La vendemmia avviene solitamente di notte e l’uva è immediatamente pressata ancora congelata. Il periodo di vendemia-pressatura è quindi quello più freddo dell’anno: dicembre-gennaio».
La domanda che mi sorge subito spontanea è; ma come fanno i grappoli a rimanere sulle viti così a lungo? In realtà, mi spiega Mauro «il momento più delicato per l’uva è ora (nei mesi di inizio autunno), quando è ancora caldo e le precipitazioni sono abbinate alle temperature ancora abbastanza miti. Una condizione che nelle zone più fredde è sicuramente meno drammatica di quello che può essere qui da noi. Poi mano a mano che il clima si raffredda, se il grappolo riesce a resistere è fatta, non marcisce più. La pianta perde le foglie, entra nello stato invernale e i grappoli con i loro acini rimangono lì appesi».
Oggi con il cambiamento climatico anche le zone più fredde del pianeta iniziano ad avere alcune difficoltà e per questo il vino di ghiaccio non viene fatto tutti gli anni.
Ma come funziona il procedimento? «Lo zucchero presente negli acini è un antigelo naturale, quindi la parte più zuccherina dell’acino non congela e pressandola è la prima che fuoriesce. L’ultima componente ad essere estratta invece è proprio l’acqua. È un sistema che concentra i contenuti della bacca. In più, essendo l’uva congelata, quando viene pressata le cellule della sua buccia gelata scoppiano (visto che il gelo ne aumenta il volume) e quindi vi è anche un’estrazione più importante a livello di aromi e di glicerina. Questo tipo di vino dolce è infatti molto viscoso e molto denso proprio perché ha tanto zucchero e un’estrazione di altre sostanze secche molto importante».

Qual è la tecnica di elaborazione che si può adottare alle nostre latitudini?
«All’interno dei nostri confini, confrontandoci con il nostro clima, questo sistema non è di sicuro applicabile. Al giorno d’oggi si può ovviare a questa difficoltà utilizzano la tecnologia delle celle frigorifere. Da noi ci sono due sistemi possibili: il primo è raccogliere l’uva, congelarla e poi torchiarla; che è un sistema un po’ laborioso perché rischia di fare un unico blocco di ghiaccio. Il secondo invece è raccoglierla, torchiarla, mettere il mosto in contenitori adatti al congelatore e congelarlo. Questa tecnica si chiama, tecnicamente, crioestrazione cioè estrazione tramite il freddo e può essere impiegata anche per selezionare gli acini più maturi, eliminando quelli meno maturi per produrre vini bianchi secchi di maggiore qualità. In questo caso si parla di crioestrazione selettiva. Una volta congelato il succo lo si lascia scongelare facendo attenzione a misurare bene quando si raggiunge il livello di concentrazione dello zucchero desiderato. Il resto viene eliminato.
Più l’uva parte con un livello elevato di zucchero (quindi più è matura) e più l’operazione ha una resa economicamente interessante. Di solito queste operazioni si fanno con delle varietà aromatiche, noi lo facciamo con l’uva americana, tipicamente ticinese. Queste uve avendo proprio la caratteristica di essere aromatiche, nella stagione come quella autunnale, a un certo punto diventano molto appetibili per le bestie che mangiano l’uva: dagli insetti agli ungulati attratti dal profumo. Diventa quindi un problema riuscire a prolungare la maturazione oltre un certo periodo.
Non si procede però con un arricchimento esterno aggiungendo dello zucchero ma lo si fa togliendo l’acqua un po’ come succede nell’appassimento dell’uva».
Come funziona la legislazione dello zuccheraggio?
«Aggiungere lo zucchero è un sistema artificiale per addolcire l’uva. La legislazione varia da Paese a Paese e dalla capacità dell’uva di maturare, più o meno in base al clima. Non sempre questo sistema però accontenta tutti. In Svizzera abbiamo una legislazione piuttosto permissiva in questo senso. Nei nostri mosti possiamo aggiungere zucchero aumentando il potenziale alcolico. Ed è una pratica che, per esempio, contestano i Paesi dell’emisfero sud. In Svizzera facciamo esattamente come fanno coloro che stanno nella parte nord dell’Europa che hanno più difficoltà ad arrivare a certi livelli di gradazione alcolica per via delle condizioni meteo meno favorevoli rispetto a quelli del Sud Italia, del Portogallo o della Spagna. Quindi per fare dei vini con almeno 12-12,5% di alcool bisogna, in certe annate, aggiungere un po’ di zucchero.
Il conflitto nasce da due aspetti: primo, zuccherando si aumenta artificialmente e in modo economicamente interessante pure il volume del vino prodotto; secondo, i vini del nord fanno inevitabilmente concorrenza ai vini del sud che cercano di contrastare a livello legislativo dei potenziali concorrenti commerciali».
L’equilibrio perfetto
«Gli Icewine hanno livelli di zucchero elevatissimi (300-400 grammi di zucchero) e dalla prima torchiata esce un liquido che è molto simile a uno sciroppo. Per equilibrare l’aspetto dolce ci vuole dunque un livello di acidità altrettanto elevato. Acidità che si preserva bene nei climi più freddi e meno nei climi caldi. Quindi noi, in Ticino, abbiamo qualche difficoltà a trovare l’equilibrio ottimale dell’uva. Si può ovviare anche a questo problema vendemmiando un po’ prima o facendo degli uvaggi, cioè dei mix di uve. Gli Icewine sono dei vini tecnicamente molto difficili da fare anche perché hanno bisogno di un equilibrio che è un po’ antitetico; l’accumulo di zuccheri e il mantenimento di un’elevata acidità sono due aspetti che in natura fanno un po’ a pugni».

Altri sistemi di produzione di vini dolci
«I vallesani per esempio hanno un label “Vin doux naturel”, che mettono su un tipo di vino che producono per sovramaturazione (da loro piove molto meno che da noi). Riescono in pratica a spingere la maturazione molto in là e raggiungere delle gradazioni di zucchero molto elevate. Spesso, quando le temperature sono più basse sull’uva si sviluppa un fungo, la Botrytis cinerea (lo stesso che fa marcire l’uva matura nelle annate troppo umide). Se questo fungo si sviluppa in condizioni di basse precipitazioni, con una giusta umidità dell’aria e non fruttifica (letteralmente non fa la muffa) ma intacca solo la buccia, si traduce nella famosa pourriture noble che caratterizza alcuni vini molto pregiati poiché prodotti in pochissime regioni del mondo. Di solito le zone più vocate per questo tipo di vino si trovano vicino a un fiume o a un lago dove in autunno si creano queste condizioni climatiche ideali per lo sviluppo della pourriture noble. In queste zone, la mattina, si forma sempre una specie di cappa nebbiosa che, quando arriva il sole, asciuga. Ma proprio l’umidità dell’aria fa sì che il fungo si sviluppi, si insedi ma non fruttifichi e quindi intacchi solo la buccia. In questo modo, la buccia che è traspirante, concentra molto e trasforma gli aromi all’interno dell’acino. Inoltre, grazie al fungo si sviluppano delle componenti aromatiche molto particolari. Su queste viti si vendemmia anche in 3 o 4 volte, raccogliendo solo gli acini più marci (ammuffiti). Quelli sani invece li si lasciano sul grappolo finché non sono attaccati dalla botrite. Sembra assurdo ma funziona proprio così. Per questo questi vini costano così tanto. È un’operazione molto laboriosa e delicata. Inoltre le condizioni meteo possono influire e rovinare tutto.
Il terzo sistema per produrre vino dolce invece è il cosiddetto moutage, praticato tradizionalmente nei paesi a clima caldo. Si lasca maturare tanto l’uva e la si raccoglie già con 17 o 20 gradi alcool potenziali. La si lascia fermentare e poi si blocca la fermentazione. La difficoltà sta proprio nel fermare la fermentazione, favorita dall’alto tasso zuccherino e dalle temperature spesso elevate. Il sistema migliore per bloccarla è aggiungere dell’alcool al composto, in quanto oltre un certo livello di alcool i fermenti muoiono. Quindi, quando si arriva al livello desiderato, si blocca la fermentazione aggiungendo dei distillati di uva. Si avranno così dei vini liquorosi con un livello di alcool molto elevato, un tipico esempio è il Banyuls francese. Il mantenimento del vino in quello stato richiede anche molta attenzione perché il rischio è che avendo una quantità di zucchero così elevata la fermentazione in bottiglia possa ripartire da un momento all’altro. È necessario quindi sterilizzare il tutto.
Un po’ di storia
Si pensa che la scoperta degli Icewine sia riconducibile all’epoca romana. Grazie agli scritti di Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), scrittore e comandante romano, si può identificare la vendemmia di alcune uve nel periodo analogo ai primi ghiacci invernali.
Il primo vino di ghiaccio attestato fu prodotto in Germania nel 1794. Si narra che in quell’autunno in Franconia (Baviera) faceva decisamente freddo. I grappoli erano ghiacciati e sembravano inutilizzabili. I vignaioli, al colmo della disperazione, piuttosto che rinunciare all’intero raccolto, decisero di vendemmiare ugualmente. Nonostante le scarse aspettative, ottennero un vino che superava, per bontà, quello vinificato nelle annate più miti. Fu così che da quell’anno venne adottato anche questo metodo di vinificazione. Si trattava però di produzioni casuali.
Un altro paese produttore è l’Austria che, per tradizione, vinifica vini zuccherini e che pertanto ha saputo raggiungere invidiabili livelli qualitativi. A latitudini simili, in Canada, dagli anni settanta si producevano icewine di qualità, nella regione meridionale dell’Ontario che confina con gli Stati Uniti.
Oggi il Canada è l’unico Paese a poter produrre etichette con la denominazione icewine, così come eiswein è appannaggio di Germania e Austria.
Prisca Bognuda