Lo scorso mese di ottobre in una serata pubblica organizzata dall’Istituto federale di ricerca WSL, dal titolo “Selve castanili nella Svizzera italiana, tra storia, cultura, biodiversità e gestione” si sono ripercorse, grazie all’intervento di alcuni studiosi, le memorie storiche, culturali e paesaggistiche legate al castagno.
La castagna è stata per secoli uno dei pilastri portanti dell’alimentazione contadina, garantendo la sussistenza per buona parte dell’anno a numerose famiglie ticinesi. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale però le attenzioni della popolazione si spostarono verso l’industria e i settori economici, abbandonando le valli e le selve castanili, che ben presto iniziarono un rapido processo di inselvatichimento. L’avvento di malattie come il cancro corticale e il mal dell’inchiostro inflissero poi un ulteriore scossa all’ormai inesorabile processo di deperimento dei castagneti da frutto. Tuttavia, negli anni Novanta del secolo scorso alcuni pionieri si resero conto dell’importanza di questo patrimonio in via d’estinzione e iniziarono a proporre progetti di recupero e rivalorizzazione delle selve castanili e dei loro frutti. Grazie a queste iniziative, oggi si contano al Sud delle Alpi circa 450 ettari di selve in uno stato di gestione continua, anche grazie alla collaborazione delle aziende agricole già presenti e attive sul territorio cantonale. Su questa ondata positiva di rinvigorimento si è riusciti anche a far fronte a un altro parassita, il cinipide, che una decina di anni fa sembrava di nuovo voler segnare la fine inesorabile delle colture castanili in Ticino. Secondo gli esperti non si può ancora dire che il castagno in Ticino stia bene, ma i quantitativi di frutti consegnati ai centri regionali di raccolta hanno dato, negli ultimi anni, chiari segni di ripresa, mostrando che il frutto è sano, bello, e di qualità.
Al giorno d’oggi, la castagna riveste nell’alimentazione un ruolo marginale, ma si riscoprono tradizioni, ricette e territori ad essa collegati. Le selve, oltre a rappresentare un’importante diversificazione dei contenuti ecologici e paesaggistici del territorio, sono messe a disposizione della popolazione e dei turisti, stimolando così nuove possibilità economiche e di recupero della cultura locale. La castagna diventa quindi un prodotto turistico, una tradizione che accomuna feste popolari, sagre di paese, sentieri didattici e libri di storia.

Come il castagno è arrivato in Ticino
Il castagno e la sua coltivazione sono giunti da noi con la conquista delle alpi da parte dell’Impero Romano. Uno sviluppo importante del castagno si raggiunse anche nel periodo nell’Alto Medioevo, quando il sensibile e generale aumento di temperatura e il conseguente aumento della popolazione portarono all’introduzione di questa coltura nelle vallate superiori delle regioni alpine. In Ticino, tra il XVII e XVIII secolo la coltivazione del castagno andò decadendo. I principali motivi sono da attribuirsi a un intenso sfruttamento delle colture, all’affermazione sul mercato di alcuni prodotti alternativi come la patata e il mais e al verificarsi di un periodo di inverni rigidi che rovinarono moltissime piante.
Verso il IX secolo il castagno fu di nuovo intensamente utilizzato per la produzione di carbone. Nel corso della prima metà del ventesimo secolo poi l’impiego del legno di castagno si concentrò nell’industria di estrazione del tannino, sostanza che veniva utilizzata per la concia delle pelli. Sul finire della prima guerra mondiale e soprattutto durante la seconda, gli stati belligeranti vietarono l’esportazione di vari prodotti tra cui le materie tanniche, tanto da mettere in grave difficoltà l’industria conciaria. Fu così creata a Melano la Tannini Ticinesi SA, che estraeva questo prodotto dal castagno e in particolare dai vecchi castagni da frutto. Solo con l’arrivo sul mercato di materie concianti sintetiche e con la chiusura della fabbrica di Maroggia venne posto fine all’utilizzo del patrimonio di castagni da frutto nostrani per la produzione di tannino.
L’interesse per il castagno cessò praticamente del tutto subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, da un lato per l’abbandono della vita rurale e agricola a favore del secondario e del terziario, quando la popolazione iniziò a spostarsi nelle vicinanze dei grossi centri commerciali e industriali, e dall’altro per l’arrivo e la diffusione del cancro corticale, che ebbe come effetto il deperimento ulteriore dei castagneti. Fortunatamente, la cessazione dell’attività di estrazione di tannino e la comparsa di una forma meno virulenta del cancro contribuirono a rendere la situazione del castagno in Ticino meno catastrofica. Restò tuttavia il problema della prolungata assenza di gestione dei castagneti, che generò soprattutto nel dopoguerra uno stato di abbandono dell’area castanile accompagnato da un degrado della struttura boschiva. Ancora oggi, la mancanza di cura è la peggiore minaccia per la copertura dei castagneti da frutto.

Il recupero e la ripartenza
Nonostante rispetto al passato le cifre che riguardano le superfici dei castagneti in Ticino siano nettamente inferiori, «alle quali si deve aggiungere una notevole, quanto imprecisata, estensione di castagneti da frutto assai compromessi e difficilmente recuperabili», ha precisato Patrick Krebs, ricercatore WSL. «Oggi si parla di 2’500 ettari di selve recuperate o potenzialmente recuperabili». Secondo Krebs la Svizzera italiana si distingue tutt’oggi per la ricchezza del suo patrimonio di varietà storiche di castagne da frutto, «con ben 102 nomi diversi di varietà catalogati, seppur con molti casi di sinonimia e omonimia. La distribuzione territoriale delle varietà ancora conosciute e presenti sul territorio conferma l’esistenza di una struttura produttiva vocata all’autosostentamento e basata quindi sulla massima diversificazione del prodotto in funzione del suo utilizzo, del periodo di maturazione e delle differenti esigenze stazionali e ambientali».
Il ritorno dell’interesse per il castagno si attribuisce ad alcuni pionieri che all’inizio degli anni ’90 hanno iniziato a proporre dei progetti di recupero e di rivalorizzazione di questi particolari boschi presenti al Sud delle Alpi sin dal Medioevo. «Grazie al particolare valore paesaggistico delle selve castanili è stato possibile cercare ed ottenere la collaborazione del Fondo svizzero per il paesaggio, creato appositamente dalla Confederazione per l’anniversario del settecentesimo», ha ricordato l’ingegnere forestale Giorgio Moretti. «Questo contributo è andato ad aggiungersi alle risorse finanziarie già messe a disposizione da parte di Cantone e Confederazione nell’ambito delle attività di cura dei boschi». Attualmente, al Sud delle Alpi, circa 450 ettari di selve si trovano in uno stato di gestione continua, anche grazie alla collaborazione delle aziende agricole già presenti e attive sul territorio cantonale. «Nell’ultimo trentennio si sono potute sviluppare notevoli conoscenze relative agli aspetti storici, ecologici e operativi, grazie al supporto e all’interesse verso il tema mostrato anche dalla ricerca scientifica. Parallelamente, la società è notevolmente mutata e questi particolari comparti territoriali hanno rivestito e stanno sempre più rivestendo un grande interesse. Questo ha portato alla creazione di attività economiche specifiche direttamente legate alle selve castanili, senza dimenticare il valoro intrinseco legato allo svago e al turismo». Si può dunque dire che quanto iniziato trent’anni fa da parte di questo gruppo di precursori è sicuramente stato un progetto di successo, che ha portato alla rivalutazione di un patrimonio territoriale e culturale del Sud delle Alpi, gestito per secoli a scopo di sopravvivenza e riproposto ora in un contesto sociale ed economico più moderno.

L’arrivo del Cinipide
Introdotto accidentalmente in Piemonte nel 2002, il Dryocosmus kuriphilus (più comunemente chiamato Cinipide galligeno del castagno) è giunto in Ticino nel 2009 dopo aver colonizzato tutto il Piemonte e la Lombardia. Gli attacchi di questo imenottero hanno causato danni ingenti alle chiome degli alberi, compromettendo sia la fruttificazione che la produzione di legname. Fortunatamente l’esistenza in Cina di un suo antagonista naturale specifico, l’imenottero Torymus sinensis, ha permesso in Italia di avviare una campagna di lotta biologica che ha poi permesso anche in Ticino di contenere almeno in parte i danni. La situazione nell’ultimo paio d’anni si può dire sia piuttosto stabile e forse in leggera ripresa. Una sfida che continua, dunque, quella per il mantenimento e la ripresa delle selve castanili nella Svizzera italiana: «l’areale dei castagneti del Sud delle Alpi nella forma in cui li conosciamo noi è comunque destinato a ridursi alle zone dove alla specie possono essere garantite approvvigionamento idrico sufficiente (soprattutto in estate) e cure selvicolturali regolari», ha ricordato Marco Conedera, ricercatore WSL.
Le selve castanili favoriscono la biodiversità
«Per poter valutare l’effetto positivo delle selve gestite e le conseguenze per la biodiversità, anche dopo diverso tempo dall’intervento, i ricercatori dell’Istituto Federale di Ricerca WSL hanno messo in piedi un programma di monitoraggio accompagnatorio del ripristino delle selve castanili, che prevedeva l’analisi della biodiversità di diversi gruppi di specie come i pipistrelli, gli uccelli e i licheni in 60 coppie di selve castanili gestite e non gestite della Svizzera italiana. I risultati degli studi hanno dimostrato che l’effetto sulla biodiversità del recupero e della gestione delle selve castanili e dei castagni da frutto è senz’altro positivo. Con il recupero delle selve sono favorite le specie legate a boschi aperti e luminosi, molte delle quali prioritarie dal profilo della conservazione. La stessa cosa vale per i singoli vecchi castagni, che nelle selve abbandonate sono molto più ricche di specie di invertebrati. La raccomandazione dunque è sicuramente quella di proseguire con il recupero delle selve castanili e favorire così l’interconnessione ecologica per le specie tipiche, per il legno vecchio e per boschi luminosi. Sarebbe importante prevedere il recupero anche dei castagni monumentali isolati al di fuori delle selve, prestando nel contempo attenzione alla conservazione del legno vecchio o morto e del microhabitat dei vecchi alberi.
Prisca Bognuda