C’è chi prova a trovare soluzioni prima che arrivi il problema.
Due allevatrici della val Calanca, Angela Pollicelli e Priska Maggini, stanno cercando rimedi concreti prima che il lupo arrivi. «In realtà abbiamo cercato di trovare una soluzione sia per il problema dei boschi di protezione, sia in un’ottica futura se il lupo arriverà anche in Calanca».
Ho incontrato Angela Pollicelli lo scorso mese di agosto, alla serata organizzata a Lostallo dalla Società agricola Moesano sul tema dei grandi predatori. In estate, nell’alta Mesolcina, aveva fatto notizia lo scarico anticipato di praticamente tutte le pecore alpeggiate a seguito della presenza del lupo che aveva predato a più riprese. A partire dal mese di luglio sull’Alp de Mucia, dove c’era stato uno scarico fatto in fretta e furia di oltre 200 pecore.
Nel corso della serata di Lostallo erano stati molti i temi affrontati: la gestione futura dei grandi predatori, come smaltire le carcasse degli animali predati sugli alpeggi, la possibilità di eventuali rimborsi per scarichi anticipati e la necessità che il lupo venisse riconosciuto come causa di forza maggiore per lo scarico. Nell’occasione era anche stato presentato un progetto elaborato dal Plantahof di Landquart: un concetto di protezione “personalizzato”, studiato ad hoc per il singolo allevatore ed elaborato in base agli animali e alle particolarità del territorio in cui vengono alpeggiati i capi. In sala però si percepiva forte la volontà di trovare una soluzione, di agire, senza essere costretti a reagire.
Angela Pollicelli, di Santa Maria in Calanca, nel corso della serata aveva esposto le sue preoccupazioni per il periodo successivo allo scarico. La sua intenzione era quella di trovare una soluzione per i primi mesi autunnali quando le capre scese dall’alpe pascolano sui pendii dei monti vicini al paese. Perché se è vero che fino ad ora il lupo ha predato per lo più durante il periodo estivo, sono molti gli allevatori che dopo lo scarico praticano il vago pascolo nei comuni in cui è consentito.
«Io e altri allevatori di Santa Maria in Calanca avremmo l’intenzione di assumere un pastore», mi aveva detto Angela, «e costruire un recinto elettrificato in cui le capre trascorrano la notte, per poi, di giorno, essere accompagnate da un pastore nel percorso sul versante che fanno di solito».
Con Angela ci siamo sentiti più volte al telefono, anche perché riuscire a trovare il posto ideale dove sistemare il recinto non è stato così facile. Poi, finalmente, l’ultima settimana di ottobre, mi ha detto che la cosa stava iniziando a funzionare e così venerdì 29, più o meno all’alba, mi sono presentato ai posteggi del Municipio di Santa Maria in Calanca.

La salita ai monti di Santa Maria con Priska Maggini
Poco dopo essere arrivato, passa a prendermi per portarmi sui pascoli Priska Maggini, che mi racconta un po’ la sua storia salendo. La prima cosa che le chiedo è quante capre ci sono ad aspettarci nel recinto. «120» mi dice. Le sue e quelle di Angela. Le chiedo com’è diventata allevatrice. «Ho iniziato con le capre di mia nonna. Ho fatto Mezzana per prendere il diploma di agricoltrice e poi, col tempo, il gregge si è ingrandito. Adesso ho qualche vecchietta e molte capre giovani». Priska, 23 anni, di Castaneda, lavora come Guardia di confine, e l’allevamento di capre per lei è un’attività accessoria. «Oggi, al mattino ho un po’ di tempo, però poi, verso le nove e mezza devo scendere al lavoro». Mentre saliamo sui monti di Santa Maria, mi indica i prati tra i tornanti e mi dice che sono tutti prati da sfalcio. Dopo pochi minuti incontriamo Angela e Katinka, la pastora, che stanno salendo a piedi con tre cani: Bubi e due cani da pastore, Jef uno giovane e Rüsh con un po’ più d’esperienza. Alla fine ci ritroviamo tutti in macchina assieme: Io, Angela, Priska, Katinka e i cani.
Quando arriviamo, le capre sono lì che ci aspettano. Entriamo e per prima cosa Priska controlla i secchielli dell’acqua. Faccio qualche domanda sulla superficie del recinto e su dove ci troviamo. «Ecco quello lì è un bosco di protezione» mi dice Angela. «Praticamente tutti i boschi che arrivano sulla strada sono boschi di protezione, qui sul pendio», aggiunge Priska. «Siamo a Mascquart, proprio sui monti di Santa Maria. In realtà all’inizio avevamo posizionato il recinto più in basso, in un’altra zona, però non funzionava. Sono state un po’ le capre a sceglierlo questo posto in realtà. Quando Katinka ha iniziato ad accompagnarle, si è accorta che venivano naturalmente verso l’alto, così le abbiamo sistemate qui. Non è stato per niente facile abituare i due greggi a muoversi insieme, a fare lo stesso percorso. Nei primi giorni non funzionava niente» mi dice Angela. Mentre parliamo Katinka verifica che non ci siano danni sul perimetro del recinto elettrificato. Nel caso, Angela toglierebbe la corrente e si provvederebbe a sistemarlo.
Chiedo a Priska di indicarmi le capre di sua nonna. È un gregge misto. L’estate l’hanno passata in parte sull’alpe Naucal e in parte su quella di Aiòn. «Le capre sono molto abitudinarie e ogni gregge ha le proprie abitudini, imparano magari dalla madre dove bere o dove andare a trovare del cibo ed è molto difficile riuscire a fargli cambiare le abitudini» prosegue Priska, spiegandomi un processo che non è affato semplice come si potrebbe credere. Adesso, quando partono al mattino vanno quasi sempre sotto i castagni. Oggi a quanto pare no però, forse perché è passato un elicottero, forse perché le castagne stanno quasi finendo. Parlo un po’ con Katinka Groll, agricoltrice diplomata, anche lei giovanissima come Priska, che mi conferma quanto mi era già stato detto. «Quando vedo che si fermano a mangiare, mi fermo anch’io, e se si spostano le seguo. Il mio lavoro è controllare che rimangano più o meno in gruppo. Adesso funziona, ma all’inizio si formavano più gruppetti, che andavano per conto loro». Katinka è tedesca e nella stagione estiva ha lavorato a Naucal. Anche se è giovane ha già una certa esperienza con gli animali. È nata e cresciuta in Germania. Le chiedo come ha trovato lavoro in Svizzera. «Tramite un sito online» mi dice. Mentre seguiamo per un pezzetto le capre chiedo qualche informazione in più anche ad Angela, che è tornata in valle nel 2014 dopo un periodo passato nel Giura. Ha iniziato prendendo in gestione i terreni della sua vicina di casa. Adesso lavora 12 ettari di pascoli, con cavalli e capre. Ci fermiamo un attimo, dopo aver seguito le capre per qualche centinaio di metri.

Vago pascolo, boschi di protezione, territorio e pastorizia
I diversi discorsi si sovrappongono. Priska mi dice che a Castaneda, ad esempio, il vago pascolo non è consentito, a Santa Maria invece sì. «Però appunto, parlando con i forestali di zona, a più riprese, si è affrontato il problema del conflitto tra le capre che mangiano soprattutto i germogli, le gemme delle piante e condizionano la formazione dei boschi di protezione. È stato anche in quell’ottica che abbiamo pensato di assumere un pastore che le seguisse nel loro percorso. Così si possono anche evitare i boschi di protezione e si risolve un primo cosiddetto conflitto. Inoltre, se c’è qualcuno con le capre, c’è anche più tempo per fare altri lavori in stalla, anche in questi mesi». È chiaro però che lo hanno fatto soprattutto in ottica lupo. «Sì, perché secondo noi è necessario iniziare a provare a cercare delle soluzioni prima che il problema arrivi. Finora in valle sono stati registrati soltanto dei passaggi del lupo, qui da noi non è ancora stanziale. Questo però non vuol dire che non si possa iniziare a provare già a prendere delle contromisure. Al momento una recinzione notturna e una pastora non vengono riconosciuti come misure di protezione che danno diritto a risarcimenti in caso di predazione, però è un tentativo, un primo passo per provare a fare qualcosa. Inoltre abbiamo già preso contatto con il Plantahof per avere un loro consiglio su questo piccolo progetto. Lo hanno accolto bene e ci hanno fatto i complimenti vedendo che stiamo cercando delle soluzioni. In futuro sicuramente ci saranno delle consulenze per capire se è come sarà possibile sviluppare un progetto di protezione».
Nei Grigioni italiani, si vive una situazione molto particolare, perché molte delle soluzioni elaborate Oltralpe, vengono concepite per valli con pascoli molto diversi, più estesi e meno ripidi. Molto diversi insomma da quelli presenti al di qua del Gottardo. L’intersecarsi di attività turistica, pastorizia, insediamenti urbani in certe zone del Ticino, e anche nel Grigioni italiano, conosce davvero una densità e una complessità difficile da replicare Oltralpe. Spesso quindi soluzioni valide a pochi chilometri da qui, rischiano di essere irrealizzabili nel Moesano. Vi è inoltre l’ostacolo linguistico, già emerso durante la serata di Lostallo, e spesso presente ogni volta che un italofono vuole comunicare con un germanofono. Da ultimo non va dimenticato il problema della distanza. Il Grigioni è infatti il cantone più esteso della Svizzera e spesso partendo dalla zona di Coira ci vogliono diverse ore per raggiungere le valli più discoste. A livello logistico, non è affatto semplice organizzarsi, se si coinvolgono il Cantone o il Plantahof. Chiedo loro se hanno provato a coinvolgere gli altri allevatori della valle e come è andata.

È molto difficile attuare il cambiamento
In zona, mi dicono, ci sono circa 250 capre. Loro hanno già avuto i loro problemi ad approntare il recinto: ci hanno lavorato circa tre giorni e poi, in realtà, come già detto, hanno dovuto cambiare zona perché la prima scelta, in zona Crapp, non funzionava. E abituare le capre è stato davvero difficile. «È pazzesco come sia difficile cambiare le abitudini. Non solo quelle delle capre ma anche le nostre. Per molti qui in valle quello che stiamo cercando di fare non ha tanto senso. Finché il lupo non c’è, perché non continuare come si è sempre fatto?». «Noi però non ci facciamo abbattere e continuiamo. Magari potrà essere un progetto pilota anche per gli altri». I tempi forse sono prematuri. Ma chi può dirlo? È davvero difficile prevedere in che modo si svilupperà la presenza del lupo in valle.
Sono queste le ultime considerazioni prima di tornare a valle, mentre Katinka continua il suo giro. Angela deve occuparsi dei cavalli e Priska inizia il suo turno di lavoro. «Alcune capre però», mi dice Priska, «sono rimaste sul vecchio pascolo, quello di Crapp» e prima o poi vanno recuperate. «Scendendo possiamo controllare dove sono con il binocolo» mi dice Priska. «Se mi segui, io mi fermo a casa, il tempo di una doccia e poi da sotto, dalla strada c’è un punto in cui si possono vedere».
La aspetto fuori. Quando torna indossa la divisa da Guardia di confine e mi sembra un’altra persona.
Dopo qualche chilometro in auto da Castaneda ci fermiamo a bordo strada e col binocolo guardiamo in su. Lei le capre le trova subito. Io non vedo niente. «Ci vuole un po’ di allenamento, anche solo per vederle», mi dice.
Scatto qualche foto a caso sul versante con il teleobiettivo e la saluto perché il tempo stringe.
Solo nel pomeriggio, in ufficio, quando ingrandisco le foto e mi tornano in mente le sue indicazioni, vedo «quelle tre capre nere, che sono spuntate lì, subito sotto a quella bianca, che si vedeva anche a occhio nudo».

Cristian Bubola