Una delle sfide sempre più pressanti della politica elvetica è quella di sviluppare un’agricoltura che sia produttiva e al tempo stesso sostenibile. In questo contesto, la lotta biologica si sta affermando sempre più come un’alternativa efficace all’uso di prodotti fitosanitari di sintesi per combattere i parassiti e le malattie nelle colture. Si tratta in generale di un insieme di metodi di prevenzione e controllo delle infestazioni, che permettono di ridurre e in alcuni casi di sostituire del tutto l’uso della chimica.

Uno dei settori principali della lotta biologica, ampiamente utilizzato anche in Ticino, è quello mediante l’introduzione in coltura di insetti “utili”. Infatti, non solo esistono numerosissime specie di insetti e organismi fondamentali per l’agricoltura, ma ci sono pure delle specie che vengono impiegate intenzionalmente a sostegno della lotta ai parassiti. Ma cosa precede il lavoro vero e proprio dei contadini e quali sono i rischi e i limiti di queste tecniche? Perché poter arrivare a utilizzarle è tutt’altro che scontato.

La lotta biologica e Agroscope

Prima di arrivare in coltura, bisogna passare per la ricerca scientifica. In Svizzera a svolgere un ruolo fondamentale nel contesto della lotta biologica è Agroscope, che sviluppa e testa soluzioni innovative e sostenibili per la protezione delle colture da insetti e malattie.

A parlarmi della tematica è Louis Sutter, collaboratore scientifico del Centro Agroscope di Conthey (VS). Attualmente sono circa 50 le specie di insetti registrate nell’Elenco dei prodotti fitosanitari dell’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV) e «ogni anno vengono inseriti uno o due nuovi organismi utili». Come i prodotti chimici, anche gli insetti utili sottostanno a un obbligo di autorizzazione per poter essere immessi in commercio, anche se, precisa Sutter, «i criteri di omologazione sono più semplici rispetto a quelli per i prodotti chimici, dal momento che comportano meno rischi per l’ambiente e la salute umana». Va però considerato che, se un orticoltore è in grado di introdurre un determinato insetto a tutela delle proprie colture, ciò significa che l’utilizzo di quella specie, spesso non autoctona, è stato dapprima testato e studiato.

Specie esotiche e antagonisti

L’introduzione di una specie esotica può stravolgere l’equilibrio di un ecosistema e avere gravi ripercussioni di carattere ambientale. Jana Collatz, esperta in biosicurezza al centro Agroscope di Reckenholz (ZH), mi spiega che «ogni introduzione di una specie esotica comporta un certo rischio e gli agenti di controllo biologico non sono un’eccezione. Prima di introdurre una specie di proposito è necessario assicurarsi che i benefici siano superiori ai rischi». Ma di quali rischi si parla? «Per esempio, attacchi a specie non bersaglio [ossia, che non si vuole controllare, n.d.r.], competizione con antagonisti naturali, ibridazione con specie strettamente imparentate e vettori di patogeni o altri organismi che possono nuocere alle specie autoctone».

Vi è poi il rischio che una specie esotica, dopo essere stata introdotta volontariamente o accidentalmente in un Paese, possa migrare naturalmente e diffondersi diventando specie invasive. «Una delle ragioni principali per cui alcuni organismi esotici diventano invasivi è che quando arrivano in un nuovo territorio non hanno più antagonisti naturali», mi dice Collatz. «In alcuni casi, subentrano antagonisti locali che possono essere in grado di adattarsi alle nuove prede ed esercitare un controllo sufficiente, ma spesso non è così». Una possibile soluzione può allora essere quella di «ricongiungere la specie invasiva con un antagonista naturale proveniente dal suo paese d’origine con cui controllarla».

Frontiere inesistenti

In questo contesto, uno dei più grandi problemi è che per l’introduzione di un organismo «non esiste una legislazione europea comune». A fornire linee guida seguite da diversi Stati europei, tra cui anche la Svizzera, è la European and Mediterranean Plant Protection Organization (EPPO), che tra le sue attività si occupa anche di valutare le conseguenze dell’introduzione di agenti di controllo biologico. Alcune decisioni non sono però unanimi. È esemplare il caso della dalla coccinella asiatica (Harmonia axyridis): «In Svizzera era stata ritenuta troppo rischiosa, invece in altri Paesi europei dove all’epoca non esistevano procedure di autorizzazione è stata rilasciata per la lotta agli afidi in agricoltura». Oggi, la coccinella asiatica si è diffusa in gran parte d’Europa e in Svizzera ha ridotto molte specie autoctone, diventando la più diffusa.

Un esemplare di Harmonia axyridis, una specie esotica invasiva di coccinella.

Oggi si cerca di individuare antagonisti specifici così da evitare effetti indesiderati sulle specie non bersaglio o ripercussioni sull’ambiente. Questo richiede ovviamente costi iniziali di ricerca piuttosto elevati, ma, come afferma Collatz, «se un agente di controllo biologico si insedia con successo, può arrivare a controllare la specie invasiva in modo permanente; di conseguenza, i costi iniziali vengono compensati dai benefici che si accumulano di anno in anno».

Tre metodi di lotta biologica

Nell’agricoltura elvetica, come mi spiega Louis Sutter, la lotta biologica con l’ausilio degli insetti viene applicata seguendo tre metodi distinti. Il primo è il metodo classico, che «viene applicato già dagli anni ’80 dell’Ottocento e agisce su organismi esotici e invasivi. Si individua un antagonista nel paese di provenienza della specie invasiva e lo si introduce in quello di arrivo». Il secondo è quello inondativo, che consiste nell’introduzione in una determinata coltura di numeri massicci di insetti con cui combattere parassiti specifici, «molto efficace, anche se costoso». Il terzo metodo, infine, è quello conservativo che, al contrario dei precedenti, «è di gran lunga il più naturale e meno intensivo», dal momento che va a favorire la diffusione di quelle specie utili già presenti in natura.

Nell’agricoltura ticinese

La lotta biologica tramite il rilascio regolare di antagonisti, come mi dice il direttore del centro Agroscope di Cadenazzo Mauro Jermini, «si fa essenzialmente nelle colture orticole sotto protezione, in serra o tunnel. In pieno campo è rara e la si applica essenzialmente, ma non ovunque, contro la piralide del mais». Il motivo è semplice, come mi spiega Roberto Mozzini, orticoltore di Giubiasco: «in serra il rilascio di insetti utili funziona molto bene perché con un’area limitata e condizioni climatiche controllate è più semplice favorirne lo sviluppo». Già nelle colture in tunnel, dal momento che «il clima lì è piuttosto instabile», la situazione è diversa. «Abbiamo provato tante volte e i risultati ci sono, ma per dare un termine di paragone: in tunnel dobbiamo inserire circa il doppio degli insetti che inseriamo in serra». Per di più, oltre alle condizioni climatiche dell’ambiente in cui vengono rilasciati gli insetti, per fare in modo che si sviluppino bene bisogna prendersene cura e nutrirli. «Per esempio, noi nelle serre dei pomodori lasciamo le foglie a terra così da fornire loro un riparo dove possano annidarsi e riprodursi».

Dettaglio di una delle serre dell’azienda agricola di Roberto Mozzini.

Quel che è certo è che l’utilizzo di metodi di lotta tramite l’introduzione di insetti, come mi conferma Mozzini, «è molto utile e sempre più necessario» per la nostra agricoltura. «Certi metodi sono davvero accurati e c’è un’esperienza maturata in diversi anni; altri sono più complicati, ma le ditte specializzate nella vendita di insetti forniscono una buona consulenza». In generale, si è sviluppato «un mercato molto interessante, che si estende ogni anno con nuovi prodotti, idee e tecniche».

Quel che ronza in serra

Per la coltivazione in serra, anche se non se ne parla spesso, queste tecniche non sono una novità. Per esempio, all’Orticola Bassi a Sant’Antonino, hanno iniziato a introdurre insetti utili in serra già nel 2005.

Sono specializzati in particolare in pomodori a grappolo, che vengono attaccati per esempio da parassiti fitofagi come la mosca bianca (famiglia degli Aleyrodidae), la fillominatrice del pomodoro (Tuta Absoluta) e i ragnetti rossi (genere dei Tetranychus): per ognuno di questi insetti vengono quindi inseriti in coltura uno o più antagonisti specifici, in maniera preventiva con una pianificazione annuale o in caso di necessità. Vale la pena fare la distinzione tra gli insetti utili “predatori”, che cacciano e mangiano le loro prede, e quelli “parassitoidi”, che invece depongono le proprie uova all’interno delle larve dell’insetto bersaglio da eliminare: organismi ben diversi che riescono però entrambi a raggiungere lo stesso obiettivo di controllo dei parassiti. Christian Bassi mi fa l’esempio del «Macrolophus pygmaeus, utile nella lotta alla mosca bianca e che attacca anche le uova di fillominatrice», così come dell’Encarsia Formosa e dell’Eretmocerus eremicus, «parassitoidi della mosca bianca», o ancora del Phytoseiulus Persimilis, «un acaro predatore del ragnetto rosso».

La lotta biologica non è però soltanto legata all’inserimento di predatori o parassitoidi, ma anche ad altre tecniche, come per esempio all’immissione in coltura di uova di specie come l’Ephestya, «che vengono utilizzate per alimentare e consentire lo sviluppo dei Macrolophus all’inizio della coltura».

Uova di Ephestya, utilizzate per nutrire alcune specie di insetti utili.

In che misura può la lotta biologica sostituire la chimica?

L’Orticola Bassi ha cominciato a usare metodi di lotta biologica per «risolvere alcuni problemi riducendo il ricorso alla chimica di sintesi, in alcuni casi per il divieto di materie attive efficaci, in altri perché quelle approvate avevano perso di efficacia». Ciò nonostante, è importante ricordare che in «ogni annata ci sono problemi diversi». All’inserimento degli insetti nelle colture può subentrare l’uso di sostanze chimiche «in quei casi in cui non si dispone di una soluzione biologica o in cui la stessa è scarsamente efficace e la soglia di danno potrebbe portare alla totale perdita del raccolto».

Di anno in anno, tuttavia, molti prodotti fitosanitari vengono aboliti e questo porta a un problema fondamentale. È ancora Louis Sutter a spiegarmi che in Svizzera «il numero di colture problematiche sta aumentando, sia per il divieto di utilizzo di determinati prodotti fitosanitari, sia per l’arrivo di nuove specie esotiche invasive». L’esempio specifico che mi viene fatto è quello delle colture di cavoletti di Bruxelles, che «a causa del divieto d’uso di determinati prodotti specifici, sono attualmente molto difficili da coltivare efficacemente». Per i cavoletti così come per altre colture «esistono soluzioni con metodi di lotta biologica, ma questi non sono stati ancora studiati e approvati». In sostanza, per poter pensare di sostituire la chimica serve molto tempo per fare ricerca e sviluppare tecniche alternative funzionali.

«Sostituire del tutto l’uso di pesticidi è molto difficile», mi dice Mozzini facendomi l’esempio della scorsa estate: «le temperature molto calde avevano favorito la moltiplicazione di alcuni parassiti costringendoci a intervenire con i pesticidi. Senza dimenticare che poi a fine stagione, se gli insetti utili sono troppi, anche loro possono fare danni alle colture», e quindi bisogna giocoforza eliminarli. «La direzione per il futuro è probabilmente quella della lotta biologica con insetti utili, batteri, e con nuove tecnologie come l’ingegneria genetica che vadano a sostituire i pesticidi, ma per ora bisogna ancora trovare un certo compromesso».

I tempi del progresso scientifico sono più lunghi di quanto si vorrebbe. Se è vero che da un lato la lotta biologica può ridurre o perfino sostituire l’uso di alcuni prodotti fitosanitari, prima di vietarne l’utilizzo è necessario trovare soluzioni alternative e testarle in maniera oculata; processi questi che, oltre al tempo, richiedono molteplici risorse.

Andrea Arrigoni