Due aziende, due personalità e un unico obiettivo: prodotti regionali di qualità nati dalla passione per il territorio e da una strabiliante rete di collaborazioni. In Valposchiavo, Nicolò Paganini e Marco Triacca coltivano sogni. E il raccolto che se ne ricava è davvero prezioso.
In tempi come questi, in cui l’agricoltura è sempre più spesso oggetto di dibattiti, l’innovazione ha un’importanza fondamentale. Ed è proprio in quest’ambito che si inserisce il concorso agroPrix, che dal 1993 premia e promuove annualmente le idee e la creatività di aziende innovative e sostenibili in campo agricolo.
Quest’anno, concorrevano ben 58 aziende da tutta la Svizzera, di cui solamente cinque si sono guadagnate un posto alla finale, tenutasi lo scorso 4 novembre al Kursaal di Berna. A vincere alla stragrande, con il premio principale, il premio del pubblico e quello dei lettori dei media partner (Schweizer Bauer e Terre&Nature), è stato il progetto di Nicolò Paganini e Marco Triacca, che nel cuore della Valposchiavo collaborano da qualche anno a un progetto enogastronomico vòlto non solo a valorizzare i prodotti locali, ma l’intera regione poschiavina. Abbiamo quindi pensato di sentirli, per congratularci con loro e farci raccontare la loro storia: un meraviglioso esempio di coesione e incontro tra agricoltura e popolazione.
Nella valle in cui si coltivano sogni
«Coltiviamo sogni è il motto che ci accomuna», mi spiega Nicolò. Si tratta anche del nome con cui lui e Marco hanno battezzato il loro agriturismo, sorto nel 2016 a Campascio: il vero punto d’incontro delle loro due aziende. La Piccoli Frutti di Nicolò produce sin dal 2001 una vasta gamma di frutta, sia fresca, sia trasformata in vari altri prodotti; La Perla di Marco dal 2009 produce invece vino (e uno spumante) dalle uve Nebbiolo e Pignola valtellinese coltivate nei vigneti in Valtellina, a Valgella in provincia di Sondrio. «Come la maggior parte degli agriturismi, per noi è di fondamentale importanza far conoscere i nostri prodotti e stringere un legame con il cliente», prosegue nel racconto Nicolò. A questo scopo, aggiunge Marco, l’agriturismo mette a disposizione delle camere in cui pernottare e con il negozio per la vendita diretta funge da «punto di ritrovo per la nostra clientela e luogo dove offriamo anche la possibilità di fare degustazioni e visite per conoscere le aziende a 360 gradi».
Sul loro sito web, www.coltiviamo-sogni.ch, si possono trovare più dettagli, ma il “berry tour” e il “wine tour” fanno venire l’acquolina in bocca solo a leggerne il titolo. In sostanza, la loro è un’azienda agricola “doppia”.
«Collaboravamo già prima del 2016, anche solo per aiuto reciproco e per legami famigliari», mi dice Marco, la cui sorella è infatti sposata con Nicolò. «Poi ci siam detti: perché non unire il tutto e collaborare anche sulla carta?».

All’insegna della cooperazione
Quando passiamo a parlare della fresca vittoria all’agroPrix, la felicità e l’orgoglio trapelano dalle loro voci. «Non conoscevamo l’agroPrix, dalle nostre parti», mi dice Marco. «È stata una nostra cliente a parlarcene. Abbiamo partecipato senza grosse aspettative e quando a metà dell’anno ci hanno comunicato che eravamo in finale, per noi era già un traguardo». Per di più, come mi spiega Nicolò, «quando abbiamo compilato il formulario d’iscrizione ci siamo chiesti in cosa fossimo innovativi, perché in fondo quel che facciamo è coltivare la terra e quello lo si fa da sempre». Il tassello vincente, però, è dato dal fatto che il lavoro di Nicolò e Marco non valorizza soltanto i loro prodotti, ma coinvolge l’intera regione della Valposchiavo. «I valori aggiunti sono l’aiuto reciproco, lo scambio di personale e talvolta anche di noi stessi», mi racconta quindi Nicolò. «In Valposchiavo, collaborare è essenziale, forse anche perché siamo un po’ isolati dal resto del Paese. Aiutarsi a vicenda è molto importante».
Nel concreto, Nicolò mi spiega allora come funziona la Piccoli Frutti: «coltiviamo su settanta appezzamenti di terreno sparsi sul territorio e anche i privati mettono a disposizione i propri orti, giardini e terreni. Questo ci permette di diversificare i prodotti e di prolungare la stagione di raccolta grazie alla differenza di altitudine e di esposizione al sole. Inoltre, un simile metodo di produzione ci garantisce molti meno problemi fungini, meno ripercussioni negative dovute per esempio alle grandinate e ci permette di favorire la biodiversità».
I vantaggi, al di là della bellezza di aver coinvolto l’intera valle e di puntare alla sua valorizzazione anche a fini turistici, sono quindi molti. Un progetto che da altre parti potrebbe quasi sembrare un’utopia, ma che in Valposchiavo è realtà, e che a Berna ha conquistato giuria, pubblico e lettori da casa. È con umiltà e modestia sincere che entrambi mi rivelano che non si sarebbero mai aspettati una vittoria simile, anche perché a loro avviso gli altri concorrenti portavano avanti progetti davvero interessanti e avevano tutte le carte in regola per vincere. Una differenza, soprattutto per il morale durante la finale del 4 novembre, può averla fatta il pubblico. Come mi racconta Marco, «a supportarci sono arrivati apposta quaranta invitati con un pullman dalla Valposchiavo e anche altri poschiavini che vivono in Svizzera interna. Alla fine avevamo più persone noi che non altri che avevano le aziende a pochi passi da Berna». Si tratta anche in questo caso di un esempio perfetto di quanto la popolazione della Valposchiavo sia unita e pronta a supportare i propri compaesani. In fondo, è però anche vero che «la vittoria non gratifica solo noi, ma la Valposchiavo intera; il nostro progetto era proprio basato sulle collaborazioni con molta altra gente e speriamo che questa vittoria possa essere un buon veicolo pubblicitario per la valle intera».
Una produzione locale e sostenibile
Giustamente, visto il traguardo appena raggiunto, a un certo punto chiedo loro quale sia il prossimo e se hanno già qualche idea in serbo per il futuro delle aziende. Mentre rispondono, mi parlano del marchio “100% Valposchiavo”, un progetto consolidato dalle associazioni agricole e artigianali e dall’ente turistico locale al quale hanno aderito e che contraddistingue quelle derrate alimentari interamente prodotte all’interno dei confini della valle.
Di solito, mi spiega Nicolò, «i prodotti nuovi magari nascono da un bicchiere di vino tra amici». Quindi mi fa l’esempio incredibile di un ristoratore poschiavino che aveva avuto l’idea originale di proporre una pizza i cui ingredienti fossero interamente prodotti in Valposchiavo: «mancavano la farina, il pomodoro e la mozzarella. Tra alcuni produttori ci siam trovati e abbiamo deciso chi avrebbe fatto cosa. Così, in un ristorante ora si può mangiare la pizza poschiavina e noi coltiviamo anche S. Marzano, con cui facciamo un sugo di pomodoro e pure del ketchup 100% Valposchiavo. Da una sola idea ne sono nate altre ed è questo lo scopo alla base del marchio: creare insieme nuovi prodotti e un valore aggiunto sul territorio».
Al momento, Nicolò e Marco intendono continuare sulla stessa linea. «Lo step successivo», mi dice Marco, «sarà quello di collaborare con Tiziano Iseppi, un piccolo produttore di olio d’oliva. L’idea è quella di poter riconvertire e recuperare una quindicina di terrazze ora ricoperte dal bosco, in una zona molto riparata che si presta bene alle coltivazioni, così da piantare duecento nuovi alberi. È comunque un progetto a medio termine», dal momento che gli alberi impiegheranno diversi anni per crescere. «L’obiettivo sarebbe quello di raggiungere una produzione complessiva di mille litri l’anno e di creare così un olio extra-vergine d’oliva 100% Valposchiavo che possa essere un’ulteriore offerta con cui valorizzare la Valle». Collaborazioni di questo tipo, conclude, «sono la nostra normalità».
Intanto, nel loro negozio a Campascio si possono trovare, a seconda della stagione, frutta fresca e secca, succhi, sciroppi, marmellate, aceti, vini, prodotti a base di pomodoro e da qualche tempo pure le castagne consegnate al centro di raccolta presso la loro azienda e le noci prodotte in valle. Di queste ultime mi parla Nicolò, che insieme a Marco e ad altri ha fondato una piccola associazione con l’intenzione di piantare trecento noci e acquistare i macchinari necessari a pulire, smallare ed essiccare i frutti. «L’obiettivo sarebbe quello, a livello cantonale, di avere abbastanza noci da fare una vera torta “grigionese”. Ovviamente non si riuscirà mai a raggiungere la domanda totale di un prodotto simile, ma è comunque un modo per valorizzarlo. Il consumatore, la grande distribuzione e la politica sostengono e puntano sempre di più al prodotto regionale, dandogli anche un giusto prezzo. Perfino i discount come Aldi e Lidl sembrano andare in questa direzione, sebbene possa sembrare un controsenso». Nel loro caso, un altro esempio è dato dal marchio di Coop “Pro Montagna”, di cui Nicolò e Marco fanno parte già da qualche anno, ma i lettori di Agricoltore sapranno che gli esempi, a livello nazionale così come a livello ticinese, non mancano e anzi continuano ad aumentare di anno in anno. Questo, sicuramente, è un forte segnale che sempre più persone sono attratte dai prodotti locali e genuini e sono disposte a pagare un prezzo superiore ed equo nei confronti dei produttori pur di sostenere le imprese regionali e di vivere in maniera più sostenibile.

Il legame con la tradizione, la famiglia e il territorio
Si sarà già capito, ma le attività di Nicolò e Marco vanno al di là del concetto di lavoro. Entrambi discendono infatti da realtà famigliari strettamente legate all’agricoltura.
Nel caso di Nicolò, i suoi genitori «erano fruttivendoli, verdurat» e lui, dopo una breve esperienza di due anni nel commercio, capì che quell’aspetto non faceva per lui. «Anche un po’ improvvisando, ho deciso di buttarmi nella produzione», recuperando e bonificando alcuni piccoli appezzamenti di terreno per la coltivazione di bacche e piccoli frutti. «Quando ho cominciato», mi racconta, «il trend delle bacche in Svizzera era forte e da allora è aumentato, sia nella domanda, sia nella produzione». Ma la scelta delle piccole bacche non è solamente dovuta al trend, bensì al territorio stesso, a cui sono giocoforza legati. I terreni in Valposchiavo sono decisamente adatti alla coltivazione di bacche e piccoli frutti, che crescono anche spontaneamente. Questo, come mi spiega Marco, è dovuto al fatto che «necessitano di poco sole. Inoltre, si adattano bene al terreno particolarmente acido e ben drenato della valle».
Bene o male, le stesse ragioni che favoriscono la crescita rigogliosa di bacche e frutta ostacolano invece la coltivazione della vite. Come mi spiega Nicolò, mentre una parte delle attività proposte sono in Valposchiavo, «la parte legata ai vini è in Valtellina. Valposchiavo e Valtellina sono molto legate storicamente, emotivamente ed economicamente e le vigne dei poschiavini si sono sempre trovate in Valtellina», proprio perché lì c’è più sole, l’ingrediente principale e necessario per la corretta maturazione degli acini e per la formazione dei quantitativi di zuccheri necessari alla vinificazione. Come chiarisce Marco, «Storicamente, si poteva importare il vino senza pagare dazio fino a dieci chilometri dal confine. Anche ora, potrei importare l’uva in Svizzera e vinificarla da noi; sarebbe considerato vino svizzero, ma senza marchio DOCG. Quindi noi importiamo i nostri vini a Campascio e poi li vendiamo tramite la Piccoli Frutti. Il vino, di per sé, è valtellinese, ma in Valposchiavo viene considerato il vino della casa, così come in Valtellina la Valposchiavo è considerata zona di invecchiamento ed affinamento dei vini valtellinesi». C’è un solo vigneto in Valposchiavo, mi dice ancora Marco, dove viene però coltivata uva per la produzione di vini bianchi, che vista la gradazione alcolica inferiore necessita meno sole rispetto al Nebbiolo. Questo terreno appartiene a Pietro Triacca, un suo parente alla lontana. Quella di Marco è infatti una famiglia che ha a che fare con i vini da diverse generazioni; suo bisnonno fondò l’azienda Fratelli Triacca SA alla fine del XIX secolo, dalla quale Marco si staccò per mettersi in proprio nel 2009, «ma già con vitigni di quarant’anni che aveva piantato e curato» suo padre, Domenico Triacca. Si potrebbe dire che il vino, a Marco scorre nelle vene.
Quella di Nicolò e Marco è una realtà speciale, che li lega a secoli di tradizione e che li radica fortemente, allo stesso modo dei loro prodotti, al territorio in cui sono nati, cresciuti e per cui, ora, stanno dando energie, tempo, risorse, dedizione e tanta, tanta passione.

Andrea Arrigoni