Capre, camion e un nome da film
- agricoltore-ticinese
- 7 apr
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A Curtina, nel cuore profondo della Valcolla, la famiglia Stucki porta avanti un’azienda agricola incentrata sull’allevamento caprino: all’apparenza, un’azienda come tante altre. Ma solo all’apparenza.
I belati delle capre si mescolano a Stravinskij, trasmesso in filodiffusione in tutta la stalla. «Idea della mamma. Dice che così le capre stanno meglio, mentre il papà vorrebbe mettere su musica svizzerotedesca.
Ecco, questo è il mio mondo. Basti dire che per poco non nasco su all’alpe…»
Alt: pochi secondi e un breve passo indietro è già necessario, per raccontare di mamma Yula e papà Eros. Alpe Predasca, anno 2004: lei aiuto casara e lui pastore, nemmeno quarant’anni in due. Lei cresciuta a Carona ma di origini bernesi, lui italiano di Gravedona. A fine stagione, la decisione di andarsene assieme sulle rive del Lago di Como ad allevare capre, con la coppia che sta per diventare un trio. Una sera, guardando un film – ma chi si ricorda quale? – sentono che uno degli attori porta il nome celtico di “Eithlyn”, ed ecco trovato il nome della bambina che stava per nascere.
Ieri come oggi, vivere di capre in Italia era però durissima. Eros inizia la vita del frontaliere, trova lavoro come camionista in Ticino e lascia Yula a gestire l’azienda. La famiglia in corpore decide però in breve di varcare il confine in maniera definitiva, cercando un modo per ricominciare da capo.
«Abbiamo trovato casa e stalla in Valcolla, sistemando quella di un anziano allevatore di pecore a Curtina», racconta ancora Eros. «Abbiamo sempre tenuto le capre Pavone. Da un lato ci affascinava la loro colorazione, dall’altro volevamo aiutare a salvare la razza, dato che non le teneva quasi nessuno. Sono vere capre di montagna, molto robuste».

Un diploma, anzi due
Torniamo ora a Eithlyn – «scrivilo giusto, che lo sbagliano tutti!» –, ai suoi vent’anni ancora da compiere e al diploma di agricoltrice, ottenuto al Plantahof, che dovrebbe finalmente permettere agli Stucki di farsi riconoscere come azienda agricola, con tutto ciò che ne consegue. È però la sua seconda formazione che ha attirato radio e quotidiani, curiosi di conoscere la storia di questa giovane, al contempo agricoltrice e… camionista.
«Le mie due passioni sono le capre e i camion. Ed entrambe le ho passate a mia figlia», racconta papà Eros. In un cantone dove le camioniste sono ancora poche, incrociare Eithlyn al volante del “suo” camion Mercedes è ancora visto con malcelato stupore. Se il papà lavora da diversi anni alla Campana trasporti di Piandera, la figlia è al secondo anno di apprendistato. Indovinare il nome dell’azienda formatrice e del formatore non è difficile.
«Guidare i camion mi piace, l’essere così in alto mi dà una sensazione di forza. Imparare il mestiere dal papà… funziona, anche se ci sono sempre discussioni. Com’è normale che sia tra padri e figli». «Discussioni che poi continuano alla sera, quando entrambi arrivano in stalla o a cena attorno al tavolo», precisa mamma Yula.
Tra sogno e realtà
Il lavoro da camionista assicura alla famiglia quella garanzia economica che la sessantina di capre e le due mucche difficilmente permetterebbero: sia perché l’azienda non è ancora riconosciuta, sia perché a mancare è pure la trasformazione del prodotto. I cassetti di casa traboccano però di sogni, odorosi di formaggio e di alpeggio.
«Al momento vendiamo il latte, ma nei prossimi anni ci piacerebbe iniziare con la produzione di formaggio: mia mamma è casara e per lei sarebbe un sogno. Vorremmo inoltre trovare un alpe, in modo da aumentare il numero di capi, ma prima c’è da capire come evolve la situazione del lupo. Non ho voglia di portar su le capre per dargli da mangiare. Qui a Curtina è già entrato in stalla una volta: era il 12 gennaio 2020, la recinzione era abbassata dalla neve e ne ha uccise quattro». «Quella mattina, quando sono entrato in stalla, quasi muoio», ricorda Eros.
La gestione del problema-lupo – nel loro caso parzialmente risolto con una nuova e migliore recinzione e con la presenza costante di Yula nelle vesti di pastora – è uno dei temi che infuocano i discorsi, a casa Stucki.
«Sono purtroppo convinta che il lupo non cambierà atteggiamento, ma che – nel limite del possibile – lo dovremo fare noi, ad esempio con i recinti notturni. Il mio pensiero è forse diverso da quello ticinese ed è dovuto alla formazione ricevuta al Plantahof. È però evidente che in Valcolla, così come in altre valli ticinesi, la situazione è degenerata e non è per nulla facile gestirla».

Nera Verzasca mon amour
Alcune parentesi nere si aprono qui e là, nella lunga e maculata fila delle Pavone impegnate a gustarsi la cena. Due occhi luccicanti segnalano la presenza di una decina di capi di Nera Verzasca, ai tempi desiderio e oggi motivo di orgoglio di Eithlyn.
«Da una decina d’anni portiamo le nostre capre in Canton Uri, all’alpe di Chueplangg. Lo porta avanti un gruppo di giovani urani, appassionati allevatori di Nera Verzasca: da quando le ho viste mi è venuta voglia di provarci anch’io. Ho convinto il papà e ne abbiamo presa una, poi un’altra… e avanti».
Da un anno a questa parte, Eithlyn fa pure parte – in rappresentanza del Ticino, assieme al presidente Luca Prestinari e Tiziano Monaco – del comitato del Gruppo di interesse dedicato alla Nera Verzasca.
«È un bell’impegno, ma mi piace molto e i progetti non mancano. Attualmente ci stiamo impegnando per portare a Sud delle Alpi l’esposizione nazionale delle Nere Verzasca, solitamente organizzata a Stans. Ci piacerebbe organizzarla sulla piana di Ambrì, in modo da facilitare la trasferta agli allevatori d’Oltralpe, ma è tutto ancora in divenire».
Mentre Yula ed Eros fanno avanti e indietro dal fienile con la gerla carica, Eithlyn si occupa dei capretti. Con un sorriso sul volto che non vuol saperne di andarsene.
«Qui non mi manca niente, questa vita è un sogno che diventa realtà. Se però un giorno dovessi scegliere, preferirei le capre. Mi darebbero senza dubbio più soddisfazione del camion. Avere una stalla pulita e degli animali sani e felici fa stare bene anche me: anche solo vederle mangiare volentieri mi riempie d’orgoglio. Sì, è davvero una bella sensazione».

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