La mia uva, il mio vino
- agricoltore-ticinese
- 7 apr
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Alla scoperta della vinificazione conto terzi, fenomeno forse poco noto e che concerne una minima percentuale delle uve prodotte in Ticino. Tra soddisfazione personale, retribuzione delle uve, vigneti abbandonati e il mercato che detta le regole.

Iniziamo dai dati, forniti dalla Sezione dell’agricoltura: nel 2024 i viticoltori che hanno deciso di far vinificare le loro uve “conto terzi” sono stati 126, una ventina in più dell’anno precedente e una ventina in meno di due anni prima, per un totale di 83’422 kg – ossia all’incirca l’1.6% del totale, in calo rispetto alla media del 2% riscontrata negli anni precedenti.
Scopi principali di quest’alternativa alla più che consolidata tradizione della vendita delle uve alle grandi cantine sono due, solitamente divisi per tipologia di cliente: o il consumo proprio, scelta privilegiata dagli hobbisti e che concerne quantitativi minimi, oppure la messa in commercio, scelta dalle piccole aziende, con relativa iscrizione al Controllo svizzero del commercio dei vini (CSCV), sottoponendosi a regolare controllo e all’obbligo di tenere una contabilità. A mo’ di promemoria legislativo, lo spartiacque è fissato a 500 litri, stante l’art. 34 dell’Ordinanza sul vino: «Sono esentate dal controllo del commercio dei vini anche le aziende: che producono esclusivamente per il proprio fabbisogno privato; che non sono dedite né alla distribuzione né alla commercializzazione; la cui produzione totale non supera 500 l».

Privato e collettivo, inox e barrique
A parlarcene è Carlos Piffaretti, subentrato a Gianfranco Chiesa da aprile 2024 alla guida della Vini Rovio SA. Sin dai suoi inizi, negli anni ‘90, quest’azienda ha sempre affiancato alla produzione dei propri vini la vinificazione conto terzi, offerta che Carlos ha deciso di proseguire. A portare le loro uve a Rovio sono sia una decina di piccole aziende sia viticoltori hobbisti, provenienti da tutto il Cantone: «Su un totale di 50’000 bottiglie che escono ogni anno dalla cantina, 20’000 sono di vinificazioni conto terzi. Fanno capo a noi una quarantina di persone, tutti con i loro certificati di produzione e i loro piani dei trattamenti da controllare, il che comporta una parte burocratica non indifferente, alla quale si aggiungono le schede contabili».
L’offerta è completa: entrambe le vinificazioni vengono fatte in inox, ma su richiesta – e ovviamente a prezzi differenti – c’è anche la possibilità della barrique. La durata standard, complessiva di vinificazione e invecchiamento, è di un anno, vale a dire che il viticoltore ritira il vino dell’anno precedente al momento di consegnare l’uva nuova. Carlos offre più tipi di servizi: alla vinificazione “privata” della propria uva se ne aggiunge una collettiva che raggruppa le uve di più produttori, scelta normalmente riservata a chi porta pochi quintali.
«La vinificazione privata costa di più, dato che richiede più lavoro e occupa più spazio. Il costo comprende la bottiglia, il tappo e la scatola di cartone; nel caso, l’unica cosa che ci deve fornire il cliente è l’etichetta, che viene scrupolosamente controllata per verificarne la conformità ed evitare problemi in sede di controllo».

Uno, dieci, cento semprepieni
A fianco delle molte vasche di differenti fogge e misure che trovano posto in cantina, una grande lavagna ospita ancora le annotazioni delle aggiunte di anidride solforosa o di lieviti per ogni singola vinificazione, poi trasposte sulle schede identificative di ogni singola botte.
«Ogni vino ha la sua storia: per me è come un gioco che mi permette di vivere le diversità che troviamo nella nostra regione, accrescendo la mia conoscenza personale. Se da un lato dover fare – e ripetere – tanti piccoli lavori è una rottura di scatole, dall’altro c’è la soddisfazione del poter percepire le differenze di ogni singola parcella, individuando le peculiarità delle uve di Lumino, Riazzino o Arogno».
Durante la consegna dell’uva l’allegria regna sempre sovrana, condita da qualche bottiglia degustata al volo, ma le voci di chi vuole gettare la spugna si moltiplicano.
«Spero sempre che qualche figlio o nipote dei molti hobbisti che dicono di essere stufi riprenda la gestione del vigneto di famiglia, magari sull’onda lunga di quel Covid che ha portato sempre più persone a riavvicinarsi alla terra. In tal senso, poter avere il “proprio” vino è senza dubbio motivo di soddisfazione».
«Mi fai il vino?»
Spostandoci nel Sopraceneri, un’offerta simile è proposta da una quindicina d’anni anche dalla cantina Böscioro di Gerra Piano, gestita da Sandro Vosti. Anche in questo caso, a fianco di piccole aziende con quantitativi importanti, c’è una nutrita schiera di hobbisti che portano pochi quintali – molti dei quali coltivati su disagevoli colline della sponda destra del Piano di Magadino. Nella maggior parte dei casi sono over 60 che hanno sempre venduto le loro uve alle grandi cantine della zona, ma che hanno deciso di cambiare – stando a quanto riferito – per la soddisfazione personale e per risparmiare sull’acquisto di altro vino, mentre la motivazione principale che spinge chi lo fa a scopo di vendita è invece quella di aumentare il margine di profitto rispetto alla sola vendita dell’uva.
«Ho cominciato a vinificare conto terzi un po’ per caso, per esaudire il desiderio di un amico viticoltore che voleva il vino fatto con la sua uva. Poi, grazie al passaparola, si sono fatte avanti sempre più persone e ad oggi escono dalla cantina circa 10’000 bottiglie dei miei vini e altrettante per conto terzi, per una ventina di clienti. La difficoltà maggiore, oltre alla gestione dello spazio, è la vendemmia: in anni come il 2024, con poche finestre di bel tempo, tutti vogliono raccogliere allo stesso momento, me compreso».
Soddisfazione conto terzi
Anche Sandro vende parte delle sue uve, pertanto capisce e conosce la situazione dei viticoltori. «Ho notato che, soprattutto nelle annate con le gradazioni medie basse, molti preferiscono vinificare in bianco anziché ricevere 4 fr. al kg, anche perché già con uva a 75° Oé si possono ottenere ottimi prodotti. Guardando al futuro, penso che l’incertezza dovuta ai frequenti “tira e molla” tra acquirenti e venditori potrebbe incoraggiare molti altri viticoltori a decidere di far vinificare le loro uve».
Il discorso si sposta poi sugli aspetti economici, legati però anche ai sentimenti. A colui che “crea” il vino non dispiace vederlo finire nelle mani di altri? Sandro risponde negativamente, ricordando poi con piacere la medaglia d’oro ottenuta nel 2023 al Grand prix du vin suisse da un bianco di merlot vinificato da lui, ma con uve prodotte dalla Fondazione Diamante.
«La Fondazione mi ha invitato alla cerimonia di premiazione, riconoscendo il mio lavoro. Ciò detto, io faccio vino per mestiere e la soddisfazione risiede anche nel produrre qualcosa che piace. Inoltre, a livello economico il conto terzi è sicuramente vantaggioso perché mi toglie il “problema” della vendita: una volta imbottigliato, è già tutto venduto! È un’entrata fissa garantita che, con l’attuale situazione del mercato, non dà certamente fastidio».

La qualità e il mercato
E proprio di mercato si parla spostandosi dall’altro lato della barricata, ossia da quello di chi l’uva la acquista e la trasforma. Pur parlando di percentuali minime, quelli che vengono vinificati conto terzi sono in buona parte quintali che venivano portati alle cantine e che, a lungo andare, potrebbero loro mancare. Giovanni Alberio, enologo della Cantina Matasci di Tenero, la quale sta tra l’altro formando una squadra viticola interna per rilevare la gestione dei molti vigneti abbandonati e ovviare al calo di uve consegnate.
«Penso che sia giusto che le cantine si sforzino a retribuire in maniera ottimale i viticoltori, anche per salvaguardare la qualità dei vini ticinesi. Questa non può essere davvero garantita al 100% se tutti i viticoltori si mettessero a produrre in piccolo, sia per uso personale o per commercio. In generale può essere un problema qualitativo, ma anche quantitativo: il mercato è già più che saturo e la percezione che il consumo stia calando e cambiando è tangibile. Da parte nostra, noi miriamo alla qualità e al mantenimento di ottimi rapporti e alla creazione di contratti di fiducia che ripaghino la qualità del lavoro dei viticoltori».
Spostandosi dall’altra parte del Piano di Magadino la parola passa a Valerio Cimiotti, direttore della Cantina di Giubiasco e scettico sul fenomeno della vinificazione conto terzi. «Il vino che produci per altri può potenzialmente portarti via una quota di mercato, anche perché se molti lo fanno per consumo proprio, molti altri inizieranno a provare a venderlo. Mi sembra un po’ il cane che si morde la coda».
Tema ricorrente è però la retribuzione delle uve, annoso problema sul quale è difficile trovare una quadra tra produttori e trasformatori. A fronte di un lavoro tra i filari sempre più difficile e di una retribuzione che, a detta di molti, permette talvolta a malapena di compensare le spese, sempre più viticoltori sono tentati di abbandonare e altri di optare per il “proprio” vino.
«Capisco che viticoltori e Federviti vorrebbero la garanzia di un determinato prezzo anche per gli anni futuri, ma questo purtroppo non è scontato. A decidere è sempre il mercato: io sarei anche d’accordo di pagare l’uva ad un prezzo superiore alla media cantonale, ma bisogna capire che noi dobbiamo riuscire a piazzare il vino a un prezzo che ci permetta di avere un margine, in modo da far andare avanti l’azienda. Ed è lì che le posizioni non si conciliano. Ciò detto, la nostra priorità come CAGI è produrre vini di alta qualità e mantenere buoni rapporti con i nostri 230 viticoltori, il cui duro lavoro viene molto apprezzato».

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